Dietro i suicidi per crisi
È difficile poter esprimere qualsiasi riflessione di fronte al gesto disperato dell’imprenditore che, in un paese del bergamasco, ha minacciato di togliersi la vita trattenendo in ostaggio persone innocenti all’interno del palazzo dell’Agenzia delle entrate fiscali.
Come è altrettanto difficile poter commentare quello che sembra un vero e proprio bollettino di guerra bianca ove i morti e i feriti testimoniano la disperazione di persone (di solito piccoli imprenditori) alle prese con il calo di lavoro, con i debiti, con le cartelle esattoriali richiedenti rimborsi di tributi evasi.
La riflessione che vorrei fare riguarda tre fattori. Primo: la fragilità dell’uomo contemporaneo. Una ricerca del 2010, condotta dal collegio europeo di neuropsicofarmacologia, rileva che il 38 per cento della popolazione europea soffre di un disturbo mentale: dall’ansia alla depressione grave, dalla dipendenza da alcool e droghe all’iperattività, dalla schizofrenia alla demenza. Da ciò ne consegue che molti bambini e adolescenti crescono con un genitore psicologicamente labile con ripercussioni sulla crescita in termini di stabilità emotiva e psichica, di rapporto con la realtà, di conflitti e di relazioni con gli altri. Tutto ciò comporta una fragilità psichica nell’affrontare le difficoltà della vita che tende a manifestarsi soprattutto nei momenti più acuti, con gesti irrazionali e fortemente depressivi.
Secondo: la dis-affezione alla comunità. Si è smarrito il senso di appartenenza – il comune non è più “comune”, lo Stato non siamo noi, l’Europa è un mostro estraneo, l’umanità è un’entità vaga cui non appartengo. Tutto ciò è pericolosissimo perché uno dei bisogni fondamentali dell’essere umano è l’appartenenza, altrimenti l’uomo regredisce verso il clan, la tribù, il cerchio ristretto, minacciando tutto e tutti.
La polis, lo Stato, la nazione, l’Europa, il continente, l’umanità sono realtà di cui l’uomo necessita per poter testimoniare la sua capacità di costruire legami, di aspirare ad una fratellanza che testimonia il meglio di sé e lo preserva dalle barbarie e dall’autodistruzione. Naturalmente queste realtà per poter esistere e funzionare necessitano sia del contributo di tutti, sia della ferma convinzione del loro bene e della loro necessità.
La consapevolezza di appartenere ad una comunità, del sapersi membri di un determinato corpo sociale è la vera sfida che abbiamo di fronte.
E il problema allora è questo: manca la coscienza collettiva che porta ad interpretare un gesto di condivisione, come quello di pagare le tasse, come una frode da parte dello Stato, perché lo Stato non è più presente.
Terzo: l’incoerenza di chi dirige. L’uomo ha bisogno di testimoni e chi governa deve essere innanzitutto un testimone. Chi viene eletto dalla comunità ha il compito di lavorare in modo disinteressato e di esser il più possibile coerente perché chi governa ha maggiori responsabilità anche nel condurre i cittadini verso un’etica condivisa e solidale.
Bisogna ritornare all’uomo, alla sua realtà interiore dove alberga il vero bene che richiama ad una fratellanza universale.
È necessario ritornare alle relazioni vere, all’ascolto reciproco, alla volontà di camminare insieme, riconoscendo non solo l’alterità dell’altro, ma l’alterità che abita ciascuno di noi nello svolgersi del tempo e nel mutamento dei luoghi.
Allora occorre rialzarsi con coraggio, certi che solo insieme ce la faremo.