Dieci giorni alla morte. L’avventura di Oscar

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Quando la morte t’entra nella vita, s’impone di colpo come una presenza massiccia. Totalizzante. Con implacabile rapidità s’impadronisce, ad uno ad uno, dei tuoi pensieri; si piazza di fronte ad ognuno di essi, spavaldamente, come un tiranno asfissiante. E li ridicolizza. Ogni tua azione s’imbratta di disincanto, la leggerezza svanisce, la vitalità s’ammollisce e il paesaggio dell’anima diventa penoso come la campagna svedese d’inverno, alle quattro di pomeriggio. La morte rimane lì, a sottolineare che, ahimè, ti sei sbagliato, che non sei affatto immortale, che il tempo anche per te si sta svuotando. Questo succede. È quasi incredibile, allora, come – pur ingoiando questi pensieri fino al limite dell’intossicazione – alcune persone riescano a giungere a un esito sorprendentemente inaspettato. Ad un paesaggio neppur immaginabile. Essi, dopo aver fatto l’esperienza della morte di persone care o aver ricevuto l’annuncio della propria prossima morte, giungono ad apprezzare in modo sorprendente la vita, la fragile, affascinante, vita che resta. Perché, con una certezza che è tutta pudore, la sanno intimamente legata ad una dimensione eterna. Oscar è uno di loro. Lui c’è riuscito. Grazie alla dama in rosa, ovviamente. Perché un po’ d’aiuto ci vuole, in queste cose. Ci vuole un solenne calcio nel fondoschiena per farti intravedere prospettive impensate. Oscar è un bambino di dieci anni, ma non è un bambino vero, è un’invenzione letteraria della felice penna del francese Éric-Emmanuel Schmitt, che ha pubblicato un libretto tanto breve quanto sorprendente, Oscar e la dama in rosa, appunto. Oscar è malato di leucemia, l’operazione di trapianto di midollo s’è rivelata inutile, non glielo vogliono dire, ma lui sa che è fallita e il prossimo appuntamento è con la morte. Nessuno gli parla di questo, però. Nota che quelli che gli ronzano attorno, gli infermieri, gli adulti, si comportano in modo diverso, con un certo impaccio, con eccessiva cortesia, o con fretta imbarazzata, quasi per evitarlo. Nota un’espressione di tristezza, di sconfitta, stampata sul volto del medico. Ma nessuno dice la fatidica parola: morte. E lui di confrontarsi con quella parola sente ormai un bisogno impellente. I genitori, persone superficiali, sono pietrificati dal dolore, ma non trovano nulla di meglio da fare che negare la realtà: gli portano regali, giocattoli costosi quanto inutili. Oscar accoglie le loro visite come un peso intollerabile. Non riesce a sentire il loro affetto, schiacciato da altrettanta stupidità. Per fortuna arriva lei, la vecchietta con il camice rosa; lei, sottile come un fuscello, ma con la forza d’animo d’una locomotiva. Lei non ha paura di spiaccicare quella parola che terrorizza tutti. Che liberazione! Comincia così l’avventura di Oscar, breve ma intensa, attraverso la fragile, affascinante, vita riscoperta che rimane. Che non è molta: più o meno dieci giorni, a pesarla in numeri. La vecchietta in rosa gli propone un gioco: scrivere ogni giorno una lettera a Dio, e vivere in ogni giorno dieci anni di vita. Oscar, Dio non lo conosce, i suoi genitori non gliene hanno quasi mai parlato. Così lui l’aveva messo in soffitta con le fantasie dell’infanzia, insieme a Babbo Natale. Ma la vecchietta in rosa non ha peli sulla lingua. Lei, gli racconta, è stata una lottatrice di catch, soprannominata la Strangolatrice del Languedoc, ha combattuto nel ring colossi di donne come Sarah Youp La Boum, la lottatrice dal corpo unto d’olio, e Tetta Reale, che ingurgita- va tre chili di carne cruda al giorno annaffiata da ettolitri di birra. Le ha stese tutte. Lei sa bene che cosa significa sapersi più debole, ma usare il cervello, la forza interiore, per tirarsi fuori dai guai, e mettere al tappeto le rivali più scorbutiche. Immagini che io, una ex lottatrice di catch con centosessanta tornei vinti su centosessantacinque, la Strangolatrice del Languedoc, possa credere per un attimo a Babbo Natale? Beh, io non credo a Babbo Natale, ma credo in Dio. Ecco. È lei, la vecchietta in rosa, a dare a Oscar quel calcio nel fondoschiena che gli fa affrontare con coraggio, spruzzato da una salutare dose d’inventiva, il duro incontro che s’avvicina. Così Oscar accetta il gioco: il primo giorno vive l’adolescenza e racconta a Dio com’è andata, gli confida che s’è innamorato di Peggy Blu, la bambina delicatissima che sta con lui in ospedale, con una strana malattia, che rende la sua pelle lievemente azzurra come il cielo di primavera adagiato sul mare. Un altro giorno la dama lo porta da Gesù, nella cappella dell’ospedale. Lui ci rimane un po’ a vedere quel Dio, nudo, magro sulla croce, tutto ferito e sanguinante. Ma la dama in rosa lo incalza: Daresti più credito a Dio se vedessi un culturista con i muscoli gonfi, la pelle unta d’olio, i capelli corti e il minislip che ne fa risaltare la virilità? Rifletti Oscar. A chi ti senti più vicino? A un Dio che non prova niente o a un Dio che soffre?. Giorno dopo giorno, passano i venti-trenta anni, gli anni delle responsabilità; i trenta-quaranta; poi Oscar attraversa i quarantacinquanta, anni in cui in genere si fanno grandi fesserie… fino alla spossatezza dei centodieci anni, al decimo giorno, quando la morte è ormai alle porte e lui sente le forze allontanarsi, un sonno invincibile avvolgerlo e lascia sul comodino un biglietto: Solo Dio ha il diritto di svegliarmi. Ovviamente, lei, l’esile vecchietta col camice rosa delle volontarie che portano un po’ di sollievo agli ammalati in ospedale, lottatrice di catch non lo è mai stata. Non è mai stata la Strangolatrice del Languedoc. Ma la forza della fede, che come ogni sentimento autentico s’abbevera a due fontane – dell’immaginazione e della realtà – le ha permesso d’aiutare Oscar, accompagnandolo ad inoltrarsi nella misteriosa dimensione del Cielo. Lei sa bene che anche il coraggio va sempre inventato; e in una lettera a Dio, l’ultima, la sua, che chiude il brevissimo libro, ringrazia Oscar per averle concesso quella preziosa possibilità. D’inventarsi il coraggio, appunto, per cogliere la bellezza nelle cose transitorie che ci stanno attorno.

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