Dieci anni di cammino comune
Adesso sembra tutto normale, o quasi. Come una prassi attuata da sempre, o almeno consolidata da molto tempo. Pregano, infatti, gli uni per gli altri e ciascun movimento e nuova comunità invita a volte i fondatori o i responsabili degli altri gruppi ai propri convegni e celebrazioni. Ma mettono pure in atto un’ospitalità fraterna, aprendo case e centri a chi ne ha bisogno, e sui mezzi di comunicazione di ciascuno viene riservato spazio alla conoscenza della vita e delle attività degli altri. Di più: condividono progetti comuni e collaborano a varie iniziative messe in piedi a livello pastorale e sociale, civile e politico. Sino a dieci anni fa, anche solo uno di questi risultati sarebbe sembrato materia per un libro dei sogni, invece sono gli effetti dei rapporti tra i movimenti nati dai carismi che lo Spirito ha voluto elargire in questo nostro tempo ricco di trasformazioni. Già sulla spinta del Concilio Vaticano II, stava maturando la consapevolezza di sostanziare maggiormente di un’effettiva comunione i rapporti all’interno della Chiesa. Era uno dei segni dei tempi, e le persone carismatiche ne avevano colto l’importanza e l’urgenza di una pronta attuazione. Tra queste, Chiara Lubich, che sin dagli anni Cinquanta aveva tessuto legami con altri fondatori. Un lavoro lungimirante che aveva portato nella seconda metà degli anni Novanta a una più stretta conoscenza con Andrea Riccardi e la Comunità di Sant’Egidio, Salvatore Martinez e il Rinnovamento nello Spirito. È in questo contesto che si situa la grande intuizione di papa Wojtyla: convoca i movimenti e le nuove comunità, da lui seguiti con viva partecipazione e aperto sostegno. Quella Vigilia di Pentecoste è una pietra miliare nel cammino dei nuovi carismi. I quasi 500 mila presenti dicono ancora con orgoglio: Io c’ero. In effetti, fu un pomeriggio speciale. Anche per il cardinale Ratzinger, che, da papa, ha ricordato: Riaffiora con commozione alla memoria l’incontro del 30 maggio del 1998. Allora il pontefice polacco, pur consapevole di difficoltà e inconvenienti nel cammino di maturazione dei nuovi soggetti, sgombrò il campo da timori e perplessità: I movimenti rappresentano uno dei frutti più significativi di quella primavera della Chiesa già preannunciata dal Concilio. La loro stessa esistenza è un inno all’unità nella pluriformità voluta dallo Spirito e ad essa rende testimonianza. Ecco perché ognuna di queste realtà merita di essere valorizzata. Fino a dire che i movimenti sono una risposta provvidenziale dello Spirito alle sfide del Terzo millennio . Per Wojtyla, questa irruzione dello Spirito aveva come finalità quella di mettere maggiormente in luce i tratti della Chiesa post-conciliare. Più volte – affermò – ho avuto modo di sottolineare come nella Chiesa non ci sia contrasto o contrapposizione tra la dimensione istituzionale e la dimensione carismatica, di cui i movimenti sono un’espressione significativa. Tanto da precisare che le due dimensioni sono co-essenziali alla costruzione divina della Chiesa fondata da Gesù, perché concorrono insieme a rendere presente il mistero di Cristo e la sua opera salvifica nel mondo. Parole impegnative, che fecero esultare la folla stipata anche lungo via della Conciliazione. Tra i fondatori, in quell’occasione, presero la parola don Giussani, Kiko Argüello, Jean Vanier e la Lubich, che fece pubblicamente al papa una promessa: Vogliamo assicurarle che, essendo il nostro specifico carisma l’unità, ci impegneremo con tutte le nostre forze a contribuire a realizzare pienamente la comunione tra i movimenti. Giovanni Paolo II non si era infatti limitato ad incoraggiare i gruppi, ma aveva dato loro una consegna: Oggi si apre una nuova tappa: quella della maturità ecclesiale. È piuttosto una sfida. La Chiesa si aspetta da voi frutti maturi di comunione e di impegno. Da quel mandato prese avvio nei continenti una serie variegata di decine e decine di appuntamen- ti per rivivere a livello nazionale e locale con i propri vescovi la straordinaria esperienza della Vigilia di Pentecoste in piazza San Pietro. Sono nati così rapporti di stima e collaborazione, anche sulla base di un vero e proprio patto d’amore reciproco proposto da Chiara e stretto con fondatori e responsabili. Da allora è coinvolto, in vari modi, un numero crescente di realtà, tra cui Rinnovamento e Focolari, Comunità di Sant’Egidio e Schonstatt, Cursillos e Legionari di Cristo, Equipe Notre-Dame e Comunione e Liberazione. Ratzinger aveva conosciuto e seguito da vicino il fenomeno dei movimenti. Quando in molti parlavano di inverno della Chiesa, ebbe a dire al congresso che precedette la Vigilia di Pentecoste ’98: Ecco che lo Spirito Santo aveva chiesto di nuovo la parola. Da Giovanni Paolo II gli era stata affidata la relazione fondamentale, quella riguardante la collocazione teologica dei nuovi gruppi. È la missione – precisò – a costituire la base teologica dei movimenti nella Chiesa. Una missione che oltrepassa i confini delle Chiese locali per arrivare fino ai confini della terra e che costituisce il vincolo che li unisce al ministero del papa. Da cardinale a pontefice prosegue l’attenzione nei confronti dei nuovi carismi. Nel 2006, Benedetto XVI convoca, nella Vigilia di Pentecoste, un nuovo incontro con movimenti e comunità. Si ripetono entusiasmo e scene, con striscioni e cartelli dei rispettivi gruppi come vele al vento sul mare di teste dentro e oltre, molto oltre il colonnato del Bernini. Voi appartenete alla struttura viva della Chiesa – sottolineò in quell’occasione -. Essa vi ringrazia per il vostro impegno missionario e per l’azione formativa che sviluppate. Poi, un mandato: siate vivi, liberi e uniti. E una richiesta: Vi chiedo di essere ancora di più collaboratori nel ministero apostolico del papa. Maturità ecclesiale, chiese Wojtyla nel ’98. Il cammino è stato intrapreso e non mancano risultati confortanti. La conferma è venuta dal cardinale Rylko, presidente del Pontificio consiglio per i laici, quando due anni fa, al congresso mondiale dei movimenti, enucleò tre segni emergenti di maturità: una comunione sempre più salda con il papa e i vescovi e tra le diverse realtà aggregative; lo slancio missionario nel servizio all’evangelizzazione della Chiesa; la fedeltà al proprio carisma, quale fonte di giovinezza dello spirito, più che mai da salvaguardare nel ricambio generazionale dei responsabili. Sono trascorsi dieci anni, densi di avvenimenti e trasformazioni. Terrorismo e accentuata globalizzazione, migrazioni e nuove povertà, frammentazione sociale e relativismo etico interpellano la Chiesa, chiamata a proporsi prima di tutto come comunità in cui vive il Risorto. Oggi gli uomini – faceva presente Giovanni Paolo II -, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti non solo di parlare di Cristo, ma in certo senso di farlo loro vedere. In questo impegno, i movimenti possono costituire una sana provocazione, per dirla con il cardinale Rylko. Prima di tutto, nei confronti della società odierna, dove è in atto una forte azione omologante della cultura contemporanea. Ma anche all’interno delle parrocchie e delle diocesi, dove – sempre Rylko – possono esserci un cristianesimo stanco e comunità chiuse. Eloquente il titolo, preso da una frase di Benedetto XVI – Vi chiedo di andare incontro ai movimenti con molto amore – del seminario di studio per vescovi appena conclusosi, organizzato dal Pontificio consiglio per i laici Sul fondamento di una crescente comunione, sembra proprio che i movimenti possano contribuire a offrire, davanti alla complessità e all’interdipendenza, risposte efficaci ed evangeliche. Il futuro è ricco di prospettive. Lo Spirito non mancherà di illuminare. L’espressione discernimento comunitario, usata al convegno ecclesiale di Palermo del 1995, è entrata nel linguaggio corrente, ma non ancora attuata ai vari livelli. Eppure, la strada passa anche attraverso un tale discernimento, che non è solo uno strumento o un metodo. Rivela quella cultura e quella spiritualità indicata da Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte per una Chiesa sempre più casa e scuola di comunione a servizio dell’umanità. LUIGI ALICI LEGGERE INSIEME IL TEMPO CHE CAMBIA Fino a tre settimane fa alla guida dell’Azione cattolica, Luigi Alici, docente di filosofia morale all’università di Macerata, è una delle personalità più acute della vita ecclesiale italiana. Professore, cosa rivelava la convocazione dei movimenti da parte di papa Wojtyla? Quella convocazione si può considerare il segno di un nuovo clima che stava maturando nel rapporto tra le aggregazioni. Allo stesso tempo, è stata anche causa, accelerando un processo in atto di passaggio da una fase in cui prevaleva una interpretazione di tipo competitivo del servizio alla pastorale ad un’interpretazione sempre più cooperativa. Quale fu la consegna più rilevante che Giovanni Paolo II affidò ai movimenti? Quella della comunione. Ma, attenzione! Era molto di più di un invito ad andare d’accordo, a trovare forme di collaborazione e di cooperazione nel servizio alla pastorale. Era un invito a scavare nelle ragioni teologiche ed ecclesiali della comunione tra queste realtà. In questa direzione, la relazione del cardinale Ratzinger dette un contributo straordinario, perché invitava a spostare la lettura delle diversità dei carismi dal piano in cui veniva spesso collocata – di un’opposizione, cioè, tra carisma ed istituzione – al piano del rapporto tra il servizio alla Chiesa locale e il servizio alla Chiesa universale. Spostando questa ottica, ogni realtà al suo interno doveva coniugare un profilo carismatico e uno istituzionale. C’erano state premesse a questo cambio di direzione? In Italia, una spinta in questa direzione era avvenuta nel 1995, quando nell’ambito del convegno ecclesiale di Palermo nella relazione di don Piero Coda era stato introdotto un elemento prezioso: il discernimento comunitario. La comunione non veniva intesa in termini soltanto moralistici o esecutivi – cioè le diverse aggregazioni devono trovare forme di collaborazione nel l’attuare i progetti – ma l’esperienza della comunione veniva posta a monte, in fase di analisi. Perché solo se si legge insieme il tempo che cambia, poi si possono trovare forme di servizio alla pastorale coerenti con il punto di partenza. Passi avanti sufficienti da allora? Sì. E si sono colte delle intuizioni, è iniziato un lavoro che passa anche attraverso i fattori umani di stima e di conoscenza reciproca; però questo processo è molto avanzato in alcune aggregazioni rispetto ad altre. Difficoltà? Ne segnalo soprattutto una, che investe il rapporto tra gli uffici pastorali diocesani e i movimenti. Si corrono due pericoli. Il primo è dovuto al fatto che questi uffici spingono le aggregazioni ad un impegno solo dentro la comunità cristiana, riducendo la possibilità che si spendano nel civile, nel sociale, nel culturale, nel politico. Il secondo pericolo è legato ad una richiesta di servizio che non lasci spazio per un cammino di fede dentro la propria aggregazione, con il rischio di perdita d’identità del gruppo. Servono risposte corali a sfide sempre più complesse. Il cammino di comunione quanto può aiutare la Chiesa nel servizio all’umanità? È una condizione fondamentale. L’importante è che la comunione non venga assottigliata ad un vago collante spiritualistico. Per me, nell’idea di comunione è incluso l’impegno a misurarsi insieme con le sfide di carattere culturale e, poiché esistono sfide complesse in un mondo frammentato, la risposta della comunità cristiana non è tanto di inseguire la complessità ma di ritornare all’essenziale. Quindi, presentarsi alla società non come una federazione di gruppi ma con un volto unitario, in cui la comunione, che è un dono dello Spirito, è anche un impegno di discernimento culturale il più possibile condiviso. A SERVIZIO DELL’EUROPA L’effetto della Vigilia di Pentecoste 1998 fu tale che valicò la Chiesa cattolica. Chiara Lubich fu invitata ben presto a parlare in Germania, dove si svilupparono rapporti con i responsabili di movimenti evangelici. Nel dicembre 2001, il duomo di Monaco di Baviera ospitò un incontro con migliaia di aderenti dei movimenti. Altri appuntamenti si susseguirono, sino a maturare l’idea di fare insieme qualcosa per l’Europa. I movimenti, infatti, già componevano una rete di fraternità che univa popoli diversi. La prima edizione di Insieme per l’Europa è del maggio 2004. A Stoccarda, in Germania, si radunano oltre 150 movimenti, comunità, associazioni e gruppi delle diverse Chiese cristiane di tutta Europa per conoscersi, scoprire la fraternità e avviare collaborazioni. I risultati si sono visti nel successivo incontro del 2007, a cui presero parte 250 movimenti: in tante città del Vecchio continente sono sorte iniziative a favore dei giovani e degli emarginati, delle famiglie e dell’ambiente, in un clima di collaborazione ecumenica.