Didone e Enea danzano nell’acqua

Grande successo all’Opera di Roma, con teatro sold out, per l’”opera coreografica” della tedesca Sasha Waltz che rivisita la storia dell’eroe troiano e della regina di Cartagine musicata dal compositore inglese Henry Pourcell.
Didone e Enea danzano nell’acqua

Invece che per sua stessa mano la bella regina Didone muore consumata dal dolore, quello di non poter amare Enea. Così ce la restituisce, cambiando il finale della storia della coppia degli amanti infelici raccontata da Virgilio nell’Eneide, Henry Pourcell, col libretto di Nahum Tate, nella sua opera “Dido & Aeneas”. Siamo nel Seicento barocco del compositore inglese. E ‘When I am laid in earth’, il lamento disperato della regina di Cartagine abbandonata dall’eroe troiano perché destinato a fondare Roma, è una delle arie più conosciutedella musica al punto da essere finita anche nel repertorio di alcuni cantanti pop.Rappresentata solitamente in forma di concerto o semiscenica, in realtà “Dido & Aeneas”- nata nel 1689 su commissione come trattenimento scenico-musicale con canto e danze per il collegio femminile di Chelsea -,  è puro teatro.

 

A dare una potente rilettura di quest’opera lirica che prende la forma dell’antico “masque”, è la coreografa Sasha Waltz, artefice di una potente fusione di canto musica teatro e, soprattutto, danza, la sua peculiare cifra artistica. Quest’opera ha segnato il debutto nella regia lirica, nel 2005, della nota coreografa tedesca, diventando uno spettacolo dal successo internazionale. In Italia la vedemmo al Comunale di Ferrara nel 2006. E fu un evento che ancora ricordiamo. Oggi, rivedere quest’”opera coreografica” – come l’ha definita la stessa Waltz – al Teatro dell’Opera di Roma, suscita nuove intense emozioni per come fiaba e mito, sortilegi e violenze, amore e morte, trovino un amalgama scenico tutto contemporaneo, neo-barocco e astratto. Anzitutto sul piano visivo già nel folgorante prologo di ambientazione marina per raccontare di Enea che lascia Troia per solcare il mediterraneo verso Cartagine, e con Apollo e Venere accompagnati dalle Nereidi. Quel mare è reso da un gigantesco acquario trasparente dentro il quale i danzatori si tuffano, raffigurazione che rimanda aifregi dei sarcofaghi antichi. Galleggiano, si intrecciano, fluttuano, fino a che l’acqua si abbassa per scoprire il fondale con la città sommersa: l’enorme teca viene portata via a vista e la scena si illumina delle mura del palazzo regale con due porte bucate sul fondale.

 

 

Nel plot dell’opera non vi è quasi nessuna azione; la musica e libretto riguardano principalmente gli stati emotivi dei due protagonisti principali. Ed ecco che, sulla scena spoglia Waltz fa muovere solisti cantanti coro e danzatori facendone un corpo unico, una massa in continuo movimento che riflette azioni, sentimenti, stati d’animo. La narrazione si sviluppa così su più piani con il raddoppiamento dei protagonisti. Gli interpreti che cantano vengono trascinati nel flusso dei movimenti dei danzatori diventando le loro ombre, controfigure anch’esse protagoniste. Sono doppi danzanti che delineano ulteriormente il carattere dei personaggi, ne registrano le emozioni, i sogni, i desideri. Waltz, con l’esperta mano musicale di Attilio Cremonini alla guida dell’ensemble barocco Akademie fur Alte Musik Berlin, aggiunge alla sua regia integrazioni musicali dello stesso Pourcell per dilatarne la messinscena, inserendo anche lunghi silenzi dove solo la danza tesse ulteriormente la narrazione.

 

 

L'eterodossia della coreografa assume anche l’ironia del burlesque con le caricature della corte di aristocratici ai quali fa indossare costumi e oggetti stravaganti prima per una foto in posa, quindi imbastendo una bizzarra lezione di balletto culminante in un frenetico scambio d’abiti poi buttati in aria. Waltz include anche le streghe malvagie che separano i due innamorati, due uomini-corvi che si librano su un’altalena di fili alla Mirò. Il vocabolario della Waltz, nell’andamento drammaturgico diversificato, ha movimenti che ricordano la gestualità della Bausch (Pina) e quella danza espressionista traslata da cui nasce il teatrodanza.

 

La plasticità potente di tale danza perfettamente fusa con la musica, raggiunge il culmine nel terzo atto. Il momento della separazione tra i due innamorati è reso duplice con i due cantanti fermi e i due danzatori trattenuti da due gruppi mentre, mossi dal vento e ondeggianti come in un mare di dolore, si protendono l’uno verso l’altra senza mai riuscire a toccarsi. Una sequenza reiterata, bellissima, struggente. Come lo è il famoso lamento di Didone che chiude l’opera, culminante con la protagonista imprigionata in una chioma lunghissima che muove lentamente come una rete o un sudario, quasi, infine, a diventare una bara. Lentamente soccombe a terra, liberata dal suo dolore con la morte. Una ballerina accende una serie di piccoli lumini a terra, mentresul coro mesto si alza il fondale mostrando  la spoglia macchina scenica del teatro.

“Dido & Aeneas”, musica di Henry Purcell, libretto di Nahum Tate, coreografia e regia Sasha Waltz, direttore  Christopher Moulds, ricostruzione musicale Attilio Cremonesi, scene Thomas Schenk e Sasha Waltz, costumi  Christine Birkle, luci Thilo Reuther. Al Teatro dell’Opera di Roma.

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