Dibattito elettorale, dov’è finito lo stile?
Tra i tanti sentimenti contrastanti che ci accompagnano in questi giorni di campagna elettorale, uno occupa lo spazio più grande, ed è il sentimento di amarezza per i toni usati e abusati dai candidati leader delle coalizioni. Soprattutto, diciamolo apertamente, ha stupito il cambio di pelle (di loden?) di Mario Monti, che d’improvviso abbiamo visto prodursi in comportamenti, atteggiamenti ed espressioni inaspettate. Ma non doveva essere lui, l’uomo della sobrietà e del rigore, a dettare la cifra dello stile in politica? E invece, è accaduto il contrario. Monti alla stregua di Grillo, Berlusconi e gli altri, dei quali ben conoscevamole comparsate di video o di piazza (a onor del vero, tra i big, Pierluigi Bersani si distingue per conservare un certo aplomb).
Che dire? Certo, si deve considerare che c’è da pagare il pedaggio alla società della comunicazione e alle sue leggi spesso perverse, per cui per guadagnarsi il titolo dei vari giornali (web, carta, tv) è necessario spararla più grossa dell’avversario. È facile però trarre una conclusione più generale: questa trasformazione estrema è la prova del fatto che la politica è il luogo del lato oscuro delle personalità. Lì, non è possibile abitarci senza dover ricorrere a insulti, promesse roboanti, vistosi compromessi: è questo il know-how della politica. Chi sa comportarsi così, sa fare politica; chi no, è solo uno sprovveduto che è meglio si dedichi ad altro. Così, persino il sobrio professore-presidente deve pagare questo scotto, se vuole fare una campagna elettorale degna di questo nome, e di qualche risultato.Insomma, è la politica, bellezza!
Ci accontentiamo di queste conclusioni? Se sì, vuol dire che siamo oramai anestetizzati a tutto, che concordiamo con quella concezione di politica e che nell’urna scegliamo chi vince il match. Se invece non ci accontentiamo, oltre a dimostrare una felice cocciutaggine, allora ci troviamo invasi da una serie di non piccole questioni.
Innanzitutto, nell’immediato, come sfondare questa cortina fumogena di parole in libertà e arrivare alla verità e sostanza delle proposte, in modo da scegliere al meglio? E poi, posto che sia ancora possibile (ma la cocciutaggine ti fa rispondere di sì), come fare per promuovere l’altra politica?
Alla prima e più contingente questione possiamo rispondere con una prova di resistenza: resistere-resistere-resistere a non lasciarci prendere e trasformarci a nostra volta nel tifoso pronto ad azzannare l’avversario. Al contrario, conserviamo distacco e profondità. Un aiutino? Ricordiamo un numero: duemila miliardi. È il nostro debito pubblico; perciò, scuotiamo decisamente la testa e passiamo oltre ogni qual volta ci venga promesso che in quattro e quattr’otto verranno abbassate le tasse. Cerchiamo di far dipendere la nostra scelta da argomenti più seri; in fondo ognuno dei candidati ha una sua peculiare visione delle cose che dobbiamo cercare di riuscire a cogliere: è quella che deve convincerci.
Riguardo la questione di carattere più generale, beh, qui le note si fanno ben più dolenti. Personalmente, ho tratto una conclusione che mi auguro esagerata. La parabola di Mario Monti, per le speranze e le aspettative che aveva suscitato con il suo stile di governo, invece che l’inizio della cura ci manifesta la gravità della malattia. E ci dice anche che non dobbiamo aspettarci uomini della provvidenza: anzi, la nuova politica (quella in cui si sale!) comincia da noi.
Amando il nostro Paese e la sua gente, rispettando la cosa pubblica (dal parco all’Irpef da pagare, alle istituzioni e chi le rappresenta…) e sentendoci parte di un’unica comunità che segue il dibattito elettorale e andrà a votare. Se riusciamo a far questo nel nostro piccolo-grande universo di madri e padri, di lavoratori, studenti, pensionati, disoccupati… avremo fatto sopravvivere qualcosa che è più di un’idea. L’altra politica sarà realtà e non utopia, e riuscirà ad esprimere anche i leader politici.