Dias, un tessitore di rapporti

Ci ha lasciati il cardinale di origini indiane, che negli anni fu nunzio apostolico in Albania, arcivescovo di Mumbai e prefetto di Propaganda Fide. Un esempio di quanto il cristianesimo asiatico può dare alla Chiesa
Il cardinale ardinal Ivan Dias, al centro, durante la sua messa di saluto alla diocesi di Mumbai prima del trasferimento a Roma (AP Photo/Aijaz Rahi)

La notizia che aspettavo da alcuni giorni mi ha raggiunto ieri sera mentre rientravo da un grande convegno a Bologna, dove accademici di diverse parti del mondo si stanno confrontando su questioni che riguardano la religione nella nostra società globalizzata; ma anche post-secolare e caratterizzata da un ritorno al sacro. Nei giorni scorsi avevo saputo da un amico, vescovo indiano, che la salute del cardinal Ivan Dias si era aggravata. Poi ieri la scomparsa di questo uomo originario della comunità bene della Mumbai cristiana cattolica. Dias, infatti, di origini goane, era nato a Bandra, il quartiere che fino a qualche decennio fa, era sinonimo di Chiesa cattolica nell’immensa metropoli indiana.

Il giovane Dias aveva studiato a Roma perché in diocesi si erano accorti delle sue grandi capacità umane ed intellettuali, ed era stato avviato alla carriera diplomatica. Ha vissuto nel cuore delle nunziature, ma soprattutto in Segreteria di Stato accanto al cardinal Casaroli, gli anni della Ostopolitik vaticana che si apriva segretamente al mondo oltre cortina. Erano tempi difficili da descrivere oggi. Parlare del blocco dell’Est Europa significava riferirsi ai ‘senza Dio’. Già in quegli anni erano emerse le sue grandi doti di fine diplomatico e tessitore paziente di rapporti costruiti nel tempo, e mai con compromessi e scorciatoie. Il cardinal Dias era uomo spirituale ma anche di verità, capace di non rompere i rapporti, ma anche di non rinnegare i principi cristiani e della Chiesa cattolica.

Fu proprio questo suo spirito che, negli anni Novanta, gli permise di dare un contributo decisivo alla ricostruzione della Chiesa in Albania, dove era stato inviato da Giovanni Paolo II come primo nunzio alla ripresa dei rapporti diplomatici fra il piccolo Paese chiuso per decenni nella dittatura paranoica di Enver Hoxha. Si fece missionario in un Paese ridotto alla fame, non solo spirituale, rintracciando sacerdoti, anche anziani, ricostruendo chiese e comunità, e ordinando i nuovi vescovi dopo lunghi anni di buio totale per qualsiasi fede religiosa.

Dall’Albania, nel 1996, arrivò a Mumbai, arcivescovo della diocesi più importante dell’India, scelto a sorpresa da Giovanni Paolo II. Per questo i primi anni non furono facili, soprattutto con alcuni rappresentanti del clero. Ma Dias, creato cardinale nel 2001, mostrò subito la sua attenzione per tutti, in particolare per il laicato e per tutte le forme di aggregazione nate nel periodo del Concilio e negli anni successivi. Lo ricordo al Sinodo diocesano nel 2001. Eravamo quattrocento delegati e, per suo volere, metà erano laici. Lui, sempre presente in mezzo a tutti, non intervenne mai, ascoltava, prendeva nota e non trascurava nessuna occasione per parlare con le persone che erano presenti. Le prime parole che pronunciò furono all’omelia della celebrazione conclusiva. Intanto aveva ricevuto il documento proposto dal Sinodo, dal quale tutti si aspettavano che lui stesso avrebbe scritto una sua lettera pastorale. Due mesi più tardi, la lettera uscì: si trattava del testo ricevuto dalla commissione che aveva steso il documento finale, con un testo del cardinale a mo’ di prefazione e presentazione. Un gesto che colpì molti e che la dice lunga sul ‘sensum fidei’ di questo uomo che, come si direbbe oggi con Papa Francesco, coglieva la voce di Dio nel popolo.

In quegli anni accolse a Mumbai Chiara Lubich in visita in India. Fra i due scattò immediatamente un’intesa profonda, una comunione spirituale ed una grande libertà di rapporto. Fu proprio il cardinal Ivan Dias che invitò la fondatrice dei Focolari a rivolgere la sua esperienza a tutto il clero di Mumbai e a varie migliaia di rappresentanti di movimenti cattolici della diocesi.

Dal 2006 si è ritrasferito a Roma, chiamato da Benedetto XVI a succedere al cardinal Sepe come prefetto di Propaganda Fide. Ricordo che quando ci salutammo a Mumbai mi disse semplicemente: «il papa chiama ed io vado». Il suo ruolo di diplomatico è stato importante per i rapporti con vari Paesi governati da regimi con i quali la Chiesa è alla ricerca di accordi che garantiscano la libertà religiosa ma anche il riconoscimento ufficiale della Chiesa cattolica. Il cardinal Dias resta come un esempio di quanto il cristianesimo asiatico può dare alla Chiesa universale a diversi livelli, sia come profondità spirituale, ma anche dal punto di vista umano e di rapporti sociali ed internazionali.

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