Diario dei tempi supplementari
Chi mi conosce mi ha sempre descritta come una persona attiva, positiva, piena di iniziative. Che dire? Devo al Vangelo, la mia bussola nel cercare un rapporto sempre più filiale con Dio e fraterno con gli altri, se ho imparato a farmi dono in famiglia con mio marito, i figli e i genitori da accudire, nel servizio in parrocchia e poi, fino al pensionamento, a scuola con i colleghi e i miei alunni. È stata, la mia, una vita cosi piena da richiedermi un super impegno. Ma quanto ho ricevuto! Una vita che 10 anni fa ha subìto una brusca svolta quando mio marito ha manifestato i primi sintomi di una malattia degenerativa. Da allora è iniziato un percorso di riflessione che ha cambiato totalmente il mio modo di concepire l’esistenza: Dio, sgombrandomi il campo da tante cose anche belle, mi ha concentrata su Angelo, che nel suo progressivo declino ora richiede da me, anche se coadiuvata da una badante, un’assistenza di 24 ore su 24. Come un bambino, che in tutto dipende dagli altri.
Angelo non parla, se non dicendo a volte qualche mezza parola; quando lo chiamo sembra che non ascolti, assorto in un mondo a sé. Durante il giorno, quando non riposa, gira instancabile per casa. Anche se non so quanto riesca a recepire, parlo con lui come facevo sempre, gli racconto le incombenze che ho, i progetti, se di progetti si può parlare considerando i limiti impostimi dalla sua malattia. Lo faccio con più libertà di quando era sano, usando le espressioni e i gesti più teneri. Sono convinta che lui coglie l’amore, questo amore messo alla prova, purificato. Talvolta, gli scopro in volto l’espressione sorridente dei tempi migliori, ma con qualcosa in più che non saprei definire, che mi consola e nello stesso tempo mi commuove. Mantenermi all’altezza di ciò che lui mi richiede oggi è un impegno notevole, richiede forze anche fisiche. Eppure alla fine di una giornata in cui mi sono affidata a Dio, fare le cose per amore ha reso tutto più lieve, facile. Tanto da poter affermare in tutta sincerità che la stagione che sto vivendo è la più bella, perché la più preziosa.
Di natura timida e riservata, ho sempre avuto un certo pudore a esporre i fatti più intimi. Per questo, specie agli inizi della malattia di Angelo, quando qualche conoscente mi fermava per strada chiedendomi notizie di lui, stentavo ad aprirmi. Poco alla volta, però, la stessa sofferenza mi ha allargato l’anima. Mi sono accorta che avevo tanti rapporti (vivo in un piccolo centro), ma un po’ superficiali. Invece adesso, se incontro qualcuno, mi fermo a raccontare con semplicità ciò che Dio va operando in me e in famiglia; e siccome anche l’altro si sente invogliato a fare altrettanto, nasce fra noi uno scambio di parole buone che leniscono certe ferite. Da qualche tempo poi uso il computer per fissare esperienze e riflessioni: anche questo è insolito per me. Qualcosa ho fatto leggere ad un’amica con la quale non ho segreti, e ne ho ricevuto un incoraggiamento: «Continua a scrivere queste cose. Vedrai, potranno servire anche ad altri; intanto ai tuoi famigliari. Sono insegnamenti di vita preziosi». È vero, ci sono parole che è bene si depositino anche su una pagina, per poi aprire un varco nei cuori. E pensare che in passato avevo il rifiuto di scrivere lettere e messaggi… ora invece le parole fluiscono dalla mano che scrive. E sono anche esperienze che un tempo, ripeto, avrei avuto pudore di mettere in piazza.
Mi è nata in cuore come un dono dello Spirito (così lo interpreto) la capacità di “prendermi cura”. Quante occasioni per farlo in una giornata! Curare gli sguardi, gli atteggiamenti, le parole, i messaggi telefonici… Mettere in tutto quel di più che cambia il risultato! Ora poi che ho più tempo per pregare, ascoltare alla radio o alla tv qualcosa che fa bene all’anima, quando trovo qualcosa del genere lo segnalo a parenti, amici… Molte le risposte di apprezzamento. Ad esempio, per la morte di mia cognata, ai parenti più stretti ho cercato di trasmettere, al posto delle solite condoglianze, insieme a una parola di consolazione anche quello che provavo interiormente. Più tardi ricevo un messaggio di mia nipote: «Grazie, zia, avevo proprio bisogno di queste parole e del video che mi hai mandato» (era una catechesi sul fine vita).
La questione non è se mio marito non mi riconosce più, ma se io continuo a riconoscere in lui, nonostante tutto, la persona con la quale ho condiviso l’esistenza; se continuo ad amarlo potendogli dire: anche così, tu sei sempre un dono per me. Così pensavo qualche tempo fa. Poi, nell’imminenza del nostro cinquantesimo di matrimonio, come un dono del Cielo ho preso coscienza come non mai della grazia del sacramento. Proprio ora che mio marito è in questo stato e la comunicazione con lui sembra interrotta? Sì, proprio ora: ho avvertito che siamo veramente due in uno. Ma in modo così forte, così reale che ho chiesto al parroco di venire a benedire le nostre fedi, in vista di questo anniversario. Per noi due soli. «Perché adesso Gesù mi ha fatto cogliere il senso più profondo di quel “per sempre” col quale siamo diventati marito e moglie». Gli ho detto proprio così. Lui non ha fatto commenti, ha sorriso ed ha acconsentito. Accanto a me Angelo seguiva le varie fasi del rito, docile e silenzioso come sempre. Le formule lette dal sacerdote risuonavano in me con tale densità di sacro che mi sembrava di celebrare allora il nostro matrimonio. Poi gli anelli rimessi al dito. E pace, gioia, gratitudine per quel Dio che si dimostra amore in ogni fase della vita, con le sue sorprese d’ogni giorno.
Che cosa ci riserva il futuro? Se mi capita di pensarci, mi sento smarrita, senza risorse. Ultimamente però mi è stata di lezione la frase di una mia pronipote: «Zia – mi ha detto –, non ti preoccupare, prendi giorno per giorno così come viene… perché il dopo è sempre diverso da come lo immagini…». Lo sapevo, avevo anche sperimentato che proprio quando arranchi sotto certi pesi, è il momento in cui ti si illumina la soluzione, ti arriva quell’aiuto insperato… Così cerco, in questa fase della mia/nostra vita, di vivere bene il presente fidandomi di Lui che mi ha sempre fatto dato forza nei momenti cruciali; di valorizzare ogni atto, consapevole che questo è un tempo prezioso. Come i tempi supplementari di una partita di calcio, dove i giocatori s’impegnano al massimo per la vittoria. Prima si correva, si pensava alla famiglia, al lavoro… era il tempo dell’analisi. Ora è il tempo della sintesi, nel quale ripetersi: Che cosa resta di ciò che hai vissuto? Solo quanto hai amato.