Diario dall’Ucraina/5
Sono arrivata in Ucraina cinque mesi fa. Conosco ancora relativamente poco del Paese e sto appena cominciando a capire e a parlare la lingua. Ma mi sono affezionata presto al popolo. Sono grata di aver ricevuto forti radici dalla mia famiglia, dal mio Paese, su cui si è innestata ed è cresciuta in me la spiritualità dell’unità. Ho imparato ad amare gli altri come me stessa, ad amare la patria degli altri come la mia. Dal primo momento ho scoperto che c’è molta somiglianza tra l’anima del popolo ungherese e ucraino: l’ospitalità, la perseveranza, la persecuzione, la sofferenza di vivere sotto l’oppressione, l’amore per la libertà, la fede in Dio, solo per citarne alcuni.
Questa assurda e insensata guerra del XXI secolo – e ce ne sono molte altre nel mondo – sta causando un sacco di sofferenza fisica e mentale, e non abbiamo nemmeno menzionato ancora i suoi effetti a lungo termine. Le notizie che arrivano dai nostri amici che ora vivono su punti più caldi di questa guerra, nelle aree occupate, ci toccano ancora più profondamente. In una situazione come questa, tutto viene rivalutato. Così è successo anche a noi.
Spesso mi chiedo anch’io: cosa posso fare? E spesso mi prende il sento dell’impotenza. In questi momenti la risposta per me è Gesù stesso sulla croce.
In lui trovo sempre di nuovo il senso della mia vita e della mia vocazione. Non sono mai stata così convinta e non ho mai sperimentato così fortemente che la sofferenza, vissuta e offerta per amore, ha valore, porta frutto e, per quanto assurdo possa sembrare, porta all’unità.
Qui nell’ovest del Paese – dove, dopo che abbiamo deciso qualche settimana fa di venire da Kiev, abbiamo trovato un’accoglienza -, abbiamo trovato una famiglia che esisteva già, ma ora è anche nuova, dove si parla in ucraino, ungherese, slovacco; con un cuore e un’anima sola preghiamo e viviamo per la pace ogni giorno con forza e fede rinnovata. L’arma più efficace è la parola di Gesù: «Pregate sempre», che include ogni azione fatta per Lui.
I pastori delle diverse Chiese di qua fanno del loro meglio perchè la fede delle comunità cristiane rimanga viva e possa dare testimonianza. La consapevolezza che tutto il mondo sta pregando unitamente per il dono della pace, ma anche le occasioni concrete di preghiera sia a livello di zoom che locale, sono una risorsa molto grande nel portare i pesi.
Sappiamo che anche i nostri amici russi soffrono con noi, e noi con loro. Abbiamo contattato i focolari di lì, abbiamo parlato con loro, ci siamo scambiati delle lettere. Nonostante il fatto che questo potesse essere anche pericoloso per loro, ci hanno assicurato che siamo uniti nell’amore reciproco e viviamo gli uni per gli altri.
Quando ci hanno accolte qua, nella parrocchia del posto, cui siamo molto grate, abbiamo subito sperimentato l’amore concreto della comunità locale dei Focolari in diversi modi, in forma di un pasto delizioso, o anche di asciugacapelli, diversi prodotti d’igiene, alcuni vestiti necessari. In quell’occasione ci siamo rese conto che anche noi stesse eravamo rifugiate, perché prima non ci era venuto neanche in mente. Ma non abbiamo avuto molto tempo di pensarci, perché ci siamo subito buttate concretamente nelle diverse forme di soccorso.
Una delle nostre compagne, che lavorava già prima per l’ufficio nazionale della Caritas, in questi giorni coordinava il loro lavoro giorno e notte, dava interviste e preparava le relazioni. Altre due mie compagne conversavano con i membri delle comunità, unendo i bisogni alle donazioni, sostenendoli anche spiritualmente, ascoltandoli, incoraggiandoli, aiutandoli ad arrivare a un posto sicuro. Io stessa ho iniziato ad aiutare nei lavori della Caritas diocesana, e questi aiuti servono sempre nella crisi attuale.
Nel frattempo, la nostra vita di focolare continua. Il posto in cui viviamo ora ci dà l’opportunità di far trovare una porta aperta per coloro che ne hanno bisogno. Da una città vicino a Kiev, dove è presente anche la famiglia del Movimento, abbiamo ora con noi un membro della comunità. Per alcuni giorni abbiamo avuto con noi una signora che anche lei veniva da Kiev. Abbiamo ospitato una famiglia rifugiata, che era di passaggio.
Abbiamo anche incontrato la comunità locale dei Focolari. Abbiamo condiviso le nostre esperienze tra le lacrime. Ci sono così tante opinioni diverse sulla situazione. È chiaro che c’è un gran bisogno di una cultura del dialogo, bisogna imparare a praticarla. Ma soprattutto c’è bisogno di accoglienza e di farsi uno. Qualsiasi persona con la quale parlo qui, ha parenti, amici che vivono nelle aree proprio di guerra, sono direttamente toccati da questa situazione. Poi la paura degli uomini da 18 a 60 anni non è malfondata, perché in qualsiasi momento possono essere reclutati. Nonostante tutto questo, molti scelgono di rimanere nel Paese. Nel frattempo il numero di rifugiati in questo posto cresce, alcuni fanno solo una sosta, altri restano.
C’è un’enorme solidarietà a livello locale e internazionale. Ci sono molte offerte generose di alloggio, trasporto, lavoro di volontariato, aiuto, sostegno finanziario, donazioni in natura. Ma ciò di cui c’è molto bisogno è di legare il bisogno con la donazione, di trovare i canali affinché le donazioni, gli aiuti arrivino ai bisognosi. Le spedizioni di soccorso arrivano, ma le città bombardate sono lontane. Proprio l’altro giorno ho sentito che alcuni giovani polacchi avevano caricato una macchina e hanno portato il carico fino a Kiev.
Come tutte le guerre, anche questa finirà. Chiediamo con grande fede che ciò avvenga il più presto possibile! Quando succederà, vogliamo ricordare che la preghiera e la vicinanza alle persone non può mai finire.