Diario dalla Siria/50
«La conferenza di Ginevra 2 si è chiusa e nella capitale siriana la giornata non denota segnali di rilievo in ordine ai combattimenti, sensibilmente diminuiti nelle settimane passate. Poche cannonate lontane e non molti mortai, poca gente nelle strade, che vede confermato il nulla di fatto già annunciato nelle domande apparentemente scherzose che sono circolate nei giorni precedenti: “Sai qual è lo scopo di Ginevra 2? Preparare Ginevra 3!”.
«Eppure, fin dal primo incontro a Montreux, trasmesso in diretta in tutto il Paese e seguito con grandissima attenzione, la maggioranza non ha cessato di guardare lassù, al Paese simbolo della sicurezza e del benessere, ascoltando ogni notizia con un misto di critica, apprensione, scoraggiamento, fastidio e delusione, ma anche speranza. I più di 130 mila morti di questa guerra bussano alle porte delle anime, delle coscienze, non forse di tutti e non forse dovunque, ma sono per tanti il monito più forte: potrebbero aumentare ancora di molto, se non si penserà finalmente in modo deciso e onesto al bene del Paese, come ha affermato a più riprese l’inviato dell’Onu Lakhdar Brahimi e come pensano in molti, qui, dopo che i giochi da tempo svelati sono sempre più chiari.
«La distruzione è immensa, ma quel che preoccupa è che la violenza, e con essa la vendetta, si insinuino nelle persone come la soluzione decisiva, la risposta unica ai crimini perpetrati. Quei morti non sono persone lontane. Sono il vicino di casa che vendeva il gas e che richiamato nell’esercito non è rientrato, o il figlio dodicenne della collega che aspettava lo scuolabus ad Aleppo ed è stato ucciso da un colpo di mortaio, o i guerriglieri che sono incappati in un’imboscata, rilasciati appositamente dalle carceri dei loro Paesi e costretti a venire qui, seminando morte e terrore tra la popolazione.
«Già, perché la popolazione continua ad avere paura, anche quella dei villaggi cristiani del Qualamon, dove i terroristi hanno svuotato Maaloula e infierito su Qara e Deir Atiye, e sono stanziati ora non lontano da Saydnaia, che custodisce nel suo Santuario mariano ortodosso un’effige della Madonna che si dice dipinta da San Luca. La cima che lo sovrasta ha accolto durante la festa musulmana di Adha una gigantesca statua del Cristo Re, visibile a molti chilometri di distanza, presa di mira dai razzi dei combattenti islamisti e dei terroristi, ma finora rimasta intatta, simbolo di una presenza che non vorrebbe scomparire dal Medio Oriente.
«Eppure, sempre più scoraggiati, molti cristiani si preparano alla partenza, che comporterebbe una grande perdita per il futuro della regione, e di questo per primi ne sono ben convinti alawiti e sciiti ma anche molti sunniti moderati, che continuano a guardare ai cristiani come a costruttori di ponti e di relazioni, capaci di unire le parti e far da pacieri. Lo sapevano già da secoli nel vicino Libano, dove sovente si costruiva un villaggio cristiano tra uno druso e uno sunnita, ma anche alla topografia siriana questa disposizione non è affatto sconosciuta. Perderli come vicini di casa e come connazionali significherebbe un vuoto pericoloso per il futuro della regione, ma sarebbe una perdita grave anche per i cristiani del mondo, che si vedrebbero privati di altri fratelli e sorelle capaci di portare il buon annuncio nella lingua e nella cultura locale, che è loro, imbevendola di quella novità che il Vangelo vissuto può dare all’umanità nel cammino verso la fraternità universale.
«Anche a ciò occorrerebbe pensare nell’Occidente che si fregiava un tempo del nome di cristiano. Non solo pensarci ma agire, preparando nel presente una pace giusta e stabile in Siria e in tutta la regione. Per molti, nel Paese, Ginevra 2 ha avuto almeno il merito di riuscire a mantenere al tavolo dei negoziati governo siriano e parte dell’opposizione e di mettere sotto gli occhi del mondo l’enorme responsabilità che non solo essi hanno nel cammino verso la pace. Si potrà sperare nei frutti di un risveglio deciso delle coscienze in un futuro non troppo lontano? Un Paese distrutto, 130 mila morti e milioni di sfollati e rifugiati lo meritano e lo reclamano».
Giò Astense