Diario dalla Siria/43
In questi due anni e mezzo di conflitto ho visto il dialogo tra la gente farsi sempre più difficile, a volte impossibile, ho visto calpestata la cultura di convivenza pacifica dei siriani messa a tacere da chi, alla deriva, è accecato dall’odio. Giovani e famiglie continuano a lasciare la Siria per mancanza di lavoro e di futuro, con sofferenze indicibili, ma proprio nel buio in cui vive il Paese si continuano a disegnare pennellate di luce.
Un giovane che fa il servizio militare e lavora negli uffici, in un posto che subisce molti attacchi, mi ha raccontato che durante uno di questi, molto forti, mentre scappava con i colleghi nel rifugio si è reso conto che uno di loro era stato colpito e giaceva a terra. Per un attimo il dubbio: “Torno indietro ad amare questo fratello o continuo a scappare?” Nel cuore, chiara, una voce che gli diceva: “Non avere paura, Io sono con te”. É tornato indietro, si è tolto la camicia per arrestare il sangue che scendeva dalla gamba e ha aspettato sotto i colpi l’arrivo dell’ambulanza.
Una giovane amica stilista, Rahmé, insieme ad una religiosa si è impegnata in questi anni nel portare avanti progetti di insegnamento del cucito a favore di donne sfollate, con lo scopo di aiutarle a trovare poi un lavoro per sostenere le loro famiglie.
A settembre 2012, si sono iscritte al corso 45 donne appartenenti a tutte le diverse confessioni presenti nel Paese (sunnite, sciite, cristiane, alaouite, druse) e di tutti i pareri politici. Le tensioni tra loro erano molto forti ed evidenti, rifiutavano persino di trovarsi nello stesso locale.
«Anch’io non riuscivo ad essere sempre nell’amore autentico – racconta Rahmé – ero legata alle mie convinzioni e a giudizi personali. Un giorno nel Vangelo ho trovato la risposta, che è risultata come un monito: se volevo davvero imitare Dio “che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi” e ci ama senza far differenze, anche la mia carità non doveva fare differenze, dovevo fare cadere ogni barriera e amare ciascuna con la misura dell’amore di Gesù».
Le cose non erano così facili. Una delle allieve per esempio creava sempre problemi. Una volta, per disturbare una delle colleghe, le ha tagliato la fodera del cappotto e in generale faceva di tutto per fare fallire il progetto. Col passare delle settimane, continua Rahmé, queste donne hanno però cominciato a parlarsi, ad accettare le loro differenze e a sconfiggere le diversità che fuori, nel Paese, si accentuavano. Condividevano preoccupazioni e dolori e hanno cominciato ad aiutarsi anche economicamente per sovvenire alle necessità dell’una o dell’altra. Il giorno della festa di Ramadan le ragazze cristiane hanno poi preparato una piccola festa per le musulmane, e le musulmane per Natale hanno fatto lo stesso.
Una volta, nel programma settimanale del corso, dove avevamo previsto un breve momento di formazione spirituale su valori umani e religiosi condivisibili da tutte, il tema era sul perdono. Una delle ragazze musulmane ha commentato: «mi è piaciuto tanto, ho sentito che, in queste circostanze, è questa la vera prevenzione alla vendetta».
A giugno 2013, nel giorno della consegna dei diplomi, alla presenza di membri dell’Associazione internazionale che appoggia il nostro progetto e dei rappresentanti della Mezza Luna Rossa, è stato chiesto quali fossero stati i momenti più difficili durante l’anno. A nome di tutto il gruppo, una di loro ha risposto che era quello il giorno più difficile, perché era l’ultimo giorno nel Centro: «l’unico posto – diceva- dove riusciamo a respirare e che ci ha sempre aiutato ad andare avanti, mettendo la pace nelle nostre famiglie e nei nostri cuori».
(Siria, rifugiati partono da Beirut per essere accolti in Germania)