Diario dalla Siria/22

La voglia di futuro è negli occhi del giovane Rami, che ha visto gli amici d'infanzia entrare in guerra tra loro e morire, ma non ha perso la speranza di vedere il suo Paese risorgere dall'abisso.
I giovani sperano in un futuro di pace in Siria.

«Oggi a pranzo abbiamo un giovane amico che è venuto ad aiutarci per fare un lavoro di manutenzione e che non ha resistito poi a condividere un piatto di buona pasta al dente, al pomodoro, semplice ma vera!

«Parlare con certi giovani è quanto di più bello, ma al tempo stesso doloroso possiamo vivere di questi tempi. Si tocca con mano la forza della vita, degli ideali, quella generosità mista a volte ad incoscienza che provoca ammirazione, ma che anche preoccupa chi ha più esperienza. Si legge nei loro occhi il desiderio di prendere in mano il timone della propria vita e di andare avanti, per costruirla bella, vera, aperti a tutti, a qualsiasi parte appartengano, purché sia giusta e porti sviluppo, progresso, benessere, quel tanto che ti permette di dormire di notte senza preoccuparti del lavoro e dei soldi per mantenere i tuoi figli e farli contenti.

«Poi te li vedi davanti, questi giovani, come Rami oggi, che con fare semplice ti mostra il cellulare e ti dice: «Vedi, qui, questi nomi, sono i miei amici, quelli con cui ho giocato davanti a casa, quelli conosciuti al servizio militare da poco finito, quelli che hanno scelto di combattere con l’opposizione. Morti, in prigione, emigrati, scomparsi …». E ti racconta quello che gli è successo con due di loro, uno sunnita e l’altro alaouita. «Giocavamo a carte insieme, gli anni scorsi. Quante partite, quante serate nella loro città che dista dalla mia neanche mezz’ora! Poi sono cominciati i problemi nel Paese e ognuno ha preso parte per la sua gente, per la sua fazione, non eravamo abituati a ciò, ma la violenza è entrata anche nei nostri rapporti. Hanno cominciato ad insultarsi, con rabbia. Sai, li capisco, perché ognuno a suo modo ha sofferto. Ad uno è morto il fratello nell’esercito, all’altro ne hanno rapito uno …». «Ed ora?» chiedo quasi sottovoce, come una che ha paura della risposta. «Uno è morto in combattimento, dell’altro non so più nulla, forse è fuori dal Paese, forse è anch’egli deceduto».

«Sono storie che altri ragazzi del mondo potrebbero raccontarmi e alle quali una buona volta si vorrebbe mettere la parola fine. Siamo nel XXI secolo, non si dovrebbe avere imparato qualche cosa dalla storia, maestra di vita? Riusciremo a vincere l’ipocrisia delle guerre inevitabili o giuste o liberatrici? Rami lo conosco da anni, ma non è più quello di prima, quel ragazzo un po’ scanzonato e giocherellone che non tutti prendevano sul serio. Ha acquisito una maturità di pensiero e di vita che colpisce. Speriamo che la vita gli riservi presto la gioia di vedere il suo Paese risorgere dall’abisso. Ne ha tutti i diritti».

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