Diario dalla Siria/11

Un professore freddato sotto casa per impossessarsi della sua macchina, un industriale che non cede al ricatto vede sparire i macchinari della sua fabbrica. Il Paese noto per la gente laboriosa è ora depredato del diritto al lavoro e alla vita
guerra in siria

«Mi sveglio con in cuore la telefonata di F. che ieri sera dal suo villaggio cristiano vicino a Hama mi ha comunicato il dolore profondo per il funerale di un professore di 47 anni, suo collega ai tempi dell’’università, ucciso a Raqqa da sconosciuti che l’hanno freddato davanti a casa e poi si sono impossessati dell’auto. Era il professore di matematica più conosciuto della città sull’Eufrate e coordinatore di tutti i professori della materia. L’hanno riportato nel suo villaggio natale, tra lo sgomento della popolazione che di fatti di violenza ne ha già subìti, tanti, in questi due anni. Violenza cieca e assurda, tanto più sconcertante in un Paese che della sua sicurezza si vantava.

«A questo si aggiunge la notizia del ricovero in rianimazione di un parente. Il referto medico dice che è assolutamente necessaria una batteria per far funzionare il dispositivo che aiuta il suo cuore ma l’ospedale del Governo non ne ha a disposizione, bisogna comprarla, e costa tantissimo. Le prometto che cercherò di passare la voce e fare di tutto per trovare un aiuto. Quel signore aveva da poco venduto il suo unico campo per garantire al figlio gli studi all’università di Lattakie, ancora al riparo dalle violenze.

«All’alba sono ricominciati i rumori delle cannonate e di esplosioni qua e là, seguiti in prima mattinata dai passaggi degli aerei. La Tv libanese NBN conferma azioni militari in periferia.

«In questa guerra c’è anche chi si trova a subire, senza volerla, la disonestà di chi dovrebbe invece garantire la giustizia e la legalità a livello internazionale. C'è un damasceno che si reca spesso in Giordania per lavoro. Ogni volta ormai, che arriva alla frontiera, per poter entrare deve accettare di essere messo nella lista dei rifugiati. O accetta o non entra nel regno hachemita. Davvero curioso come modo di agire. Speriamo che non sia troppo ricorrente, per mantenere almeno una certa esattezza nei numeri dei rifugiati!

«C’è anche (e sono centinaia gli industriali in questione) chi si è visto portare via tutti i macchinari della fabbrica alla periferia di Aleppo. Attrezzature che sono poi transitate in Turchia tranquillamente, ammesse dalla polizia di frontiera. Aveva ricevuto una telefonata che chiedeva una cifra esorbitante per “proteggere” la sua industria che sarebbe stata ben controllata da gruppi non meglio definiti. Altrimenti il sequestro e la vendita all'estero. L'imprenditore ha chiuso il cellulare e non ha risposto più. Il frutto della sua intraprendenza e della sua fatica decennale ora è stato rubato, lo ritroverà ancora?

«A pensarci, lo sgomento cresce e cresce la convinzione dell’inutilità della guerra e della menzogna che si nasconde dietro ogni tentativo di sostenerla. Quante famiglie nella povertà, quanta disperazione, quanti sogni di giovani stroncati sul nascere. Sono ormai decine di migliaia i disoccupati in tutto il Paese, diventati sempre più facile preda di chi li ingaggia per combattere o li spinge a rubare per poter mangiare. E pensare che la Siria era conosciuta nel Medio Oriente come un Paese di gente laboriosa, intraprendente e dignitosa, che stimava il lavoro e non aveva paura di faticare pur di averlo. Ma la guerra gliene ha tolto il diritto.

«La tv locale ha però trasmesso una buona notizia: tutte le moschee pregano per la pace in Siria. Le immagini trasmesse in giornata testimoniano una forte e sentita partecipazione, consolante. Gli amici che incontro la commentano con soddisfazione e speranza».

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