Diario dalla Siria /7
«La giornata è cominciata con passaggi di aerei e colpi forti nella periferia che si sono ripetuti fino al tramonto. L’elettricità manca da ieri pomeriggio, nella periferia sono stati colpiti i cavi elettrici che alimentano la centrale e ci è voluto un bel po’ prima che si cominciasse a erogarla di nuovo, quartiere dopo quartiere.
«Da due giorni code inimmaginabili alle stazioni di servizio, manca anche la benzina e la gente lascia la propria auto davanti alla stazione in modo che sia pronta quando arriverà la cisterna, magari il mattino dopo o all’una di notte! Tanti vanno a piedi al lavoro sia perché la loro macchina non ha benzina sia perché i taxi non circolano più numerosi come prima e sono cari. Padre G. è arrivato a piedi al patriarcato greco-cattolico di Bab Sharki, la sua macchina come tante è senza benzina, ha camminato quasi un’ora dalla sua parrocchia dove si sta svolgendo un’attività promossa da persone del quartiere: per aiutare 60 famiglie cristiane rifugiatesi qui da Daraa, ogni settimana si fa una raccolta di qualche prodotto alimentare e lo si porta nel salone della chiesa, dove le famiglie possono venire a prenderlo. Questa settimana è quella dell’olio e delle olive.
«Padre G. mi racconta a questo proposito che ormai a Maaroune, villaggio sulle colline all’entrata di Damasco, dove la produzione di olive è eccellente, i contadini non le producono più, le lasciano marcire sugli alberi perché i frantoi che si trovano a Douma sono inaccessibili. La cittadina alle porte di Damasco è infatti ormai feudo esclusivo dell’Esercito libero e di affiliati a estremisti armati che soli vi possono entrare, gli altri rischiano (cristiani o musulmani) l’immediato rapimento. A che serve dunque produrre? Piccolo esempio dei frutti saporosi della guerra per la gente.
«I rapimenti sono diventati lo spettro degli abitanti di Damasco, così come di Aleppo, dove ormai è cosa vecchia … Gli amici che mi ospitano parlavano stasera di un nuovo metodo e mi citano l’esempio di un giovane loro conoscente, rapito quindici giorni fa e non ancora rilasciato. Il riscatto consiste in dieci milioni di lire siriane (al cambio attuale 10000 euro) o in armi! O di un altro, figlio del loro portinaio, un musulmano molto semplice e cordiale. Gli hanno rapito il figlio che poi è ritornato, sembra che sia stato preso perché inneggiava all’Islam radicale; poi gliene hanno rapito un altro, che è ancora prigioniero non si sa di chi, per il cui riscatto sta chiedendo soldi a destra e manca. Loro stessi vogliono che la figlia parta al più presto per il Libano anche se dovranno starsene poi da soli, giacché il primogenito è già lì da un mese con la giovane moglie. Non sopportava più lo stress quotidiano soprattutto per i tragitti sempre pericolosi con l’autobus della compagnia con cui lavorava (affiliata alla famiglia del Presidente e quindi sottoposta ad attacchi) e per questo si è licenziato ma il lavoro da sei mesi manca. Parlando con loro si ha una stretta al cuore. Un piccolo spaccato di sofferenza, distesa nel tempo».
Giò Astense