Diario dalla Siria/ 56

Per il terzo anno si sono trascorse le feste di Natale, ancora in guerra. A Damasco ed Aleppo si festeggia con una cena e delle scenette per ricordare il Paese che fu e ricostruire quello di oggi, mentre non cessa l'emergenza per cibo, gasolio e farmaci
Natale in un campo profughi siriano

E’ il terzo Natale che si trascorre in guerra. La festa è sempre festa a qualsiasi fede si appartiene, come la guerra resta sempre tale anche se sei cristiano o musulmano. Si continua a soffrire e si cerca qualche briciolo di gioia che apra barlumi di speranza, difficili da vedere nella notte dell’odio senza senso.
La serata natalizia con trecento persone della comunità di rito latino voleva essere questo: un regalo di gioia nell’orrore. Abbiamo preparato canti, meditazioni e per trenta famiglie una busta con della cioccolata e dei soldi arrivati dall’ong dei focolari per sostenere le spese più necessarie: in primis il gasolio, rintracciabile solo al mercato nero, sempre più raro e costoso, ma al contempo indispensabile per scaldarsi.

La tristezza ci attanaglia eppure il Nunzio ci ha ringraziato per aver fatto uscire la gente dall’atmosfera cupa della guerra e dai problemi pressanti della vita quotidiana: cibo, riscaldamento, farmaci. Persino la televisione siriana e’ venuta a filmare questo momento per mostrare che i cristiani non si arrendono, nonostante tutto. Una signora musulmana, presente con altri trenta membri della comunità ha ribadito: “Ci avete messo tranquillità e pace”. Qui i conflitti falsamente attribuiti alla religione non li tocchiamo.

Olio, cibo, prodotti per l’igiene personale e per pulire le stanze sono stati il nostro regalo alle 12 famiglie di Maschta, un villaggio vicino, rifugiate da mesi in una scuola. E poi medicine, anche queste distribuite come oro, tanto sono diventate preziose.

La scuola per i sordomuti ad Aleppo ha riaperto con il patrocinio del sindaco. La vita non si è fermata. Una delle scenette di Natale riproduceva la situazione attuale della città. Si è cominciato rappresentando i tempi di pace, come vivevamo e giocavamo quando tutto andava bene. Poi è arrivata  la guerra, la distruzione, la disperazione e tanta tanta paura. I bambini gridavano, cadevano a terra e qualcuno prendeva le valige per partire. Davanti a ciascuno una candela spenta, ma poi una ragazza di bianco vestita arriva ad accendere ogni lumino : è la luce del Cielo, è quella che Dio continua a donarci nonostante tutto, è la nostra speranza.

La rappresentazione non finisce, continua : i bambini si rialzano, si riorganizzano in gruppi e improvvisano dei lavori: vogliamo ricostruire il paese insieme. L’atmosfera in sala è diventata commovente. Il sindaco ha apprezzato il lavoro e ha cominciato a consultare le insegnanti per capire come continuare progetti adeguati e di stimolo anche per altri istituti.  Qualcuno ha cominciato a dire che si era respirata la presenza di Dio. Ad un bambino musulmano qualcuno ha chiesto : Cosa ci fai qui in mezzo ai cristiani ? E lui: «Ci vogliono bene, ci insegnano tante cose e soprattutto conoscono Dio molto bene». Vivienne la direttrice, qualche settimana prima convocando le insegnanti, per alcuni problemi organizzativi dovuti all’enorme precarietà in cui si lavora, aveva raccomandato :«Le lauree sono molto importanti, come le specializzazione io vi chiedo però di più. Vi chiedo di lavorare per il Dio presente in ciascun bambino cristiano o islamico, vi chiedo di lavorare per Dio che è presente in questa scuola attraverso ciascuno di noi e attraverso l’amore». Questa è la Siria, questo è il paese in cui vogliamo tornare a vivere in pace e non a morire senza ragione.
 

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