Diario dalla Siria /51
«Suonano a festa le campane delle chiese di Damasco. E’ pomeriggio quando giunge la notizia della liberazione delle cinque suore ortodosse che erano state rapite dal monastero di santa Tecla a Ma’lula lo scorso dicembre, probabilmente dai dai ribelli del Fronte Al Nusra. Le attendono con impazienza le autorità civili e religiose: è la buona notizia del giorno in mezzo al dolore indicibile della fame, della morte, della paura con cui la guerra ci trafigge ogni momento.
Sono state rilasciate in Libano, sulle montagne al confine con la Siria. Sono scortate dalle guardie libanesi che le consegneranno ai militari dell’esercito regolare per ricondurle in un posto sicuro. Hanno sulle spalle nove ore di macchina. Sono provate, stanche ma sono vive. Ai giornalisti che le assediavano hanno ripetuto che sono state trattate bene, nonostante la lunga prigionia e che non hanno ricevuto alcun male.
A Zahle, città libanese, che guarda oltre i suoi monti alla Siria, i cristiani rifugiati ascoltano la notizia con sollievo. Da mesi, le strade di questa cittadina, vedono crescere in modo sproporzionato il numero dei profughi siriani. Spesso passano il confine di nascosto, rischiano, ma la vita non vale più niente oltre quelle montagne: hanno perso tutto.
Padre Nader è instancabile nell’inventarsi rifugi e case. Compra materassi, medicine, cibo, «ma sono soprattutto i farmaci quello di cui abbiamo più bisogno», spiega a chiunque gli domanda dei suoi assistiti. «Sono costosissimi e ne ho portati in quantità quando sono ripartito dall’Italia, ma non sono mai abbastanza». Il sacerdote, che continua a ricevere minacce per la sua attività di accoglienza, è un vulcano. Per lui la guerra non è un affare militare o di lotta al regime e di pseudodemocraticità dei ribelli: davanti a lui ci sono le vite distrutte di chi questo conflitto continua a non capirlo e a non volerlo e che sfuggito alla morte cerca un’altra vita.
Padre Nader vuole offrirgliela, almeno momentaneamente, in questo pezzo di Libano. Con la sua associazione Buon Pastore sta raccogliendo fondi per costruire dei prefabbricati che diano almeno un senso di casa. «Tanti dormono a terra, dappertutto e invece l’aiuto che offriamo non può prescindere dalla dignità. Una casa dà dignità e io provo ad offrirgliele in punta di piedi».
Oggi la sua giornata sarà ancora al confine per soccorrere altri fuggitivi, mentre la guerra continua la sua carneficina nel silenzio del mondo».