Diario dalla Siria / 46
“Non senti che siamo tornate a casa?” Queste le parole che ci siamo scambiate attraversando la pianura che costeggia la costa siriana dove per un po’ saremo ospiti di amici. Sì, non ce lo nascondiamo, è un sentimento forte quello che ci pervade e ci accomuna. Siamo qui perché la gente senta meno pesante il fardello della tragedia che continua nel Paese mentre tanti nel mondo vivono, pregano, offrono dolori e aiuti materiali di tutti i tipi.
Una certezza scalda i cuori: non è utopia il mondo unito se c’è gente che ha sempre presente chi soffre e cerca in tanti modi di lavorare perché la pace ritorni. Non è utopia, se qui pur nella povertà dilagante, nei disagi continui – in varie parti l’elettricità nelle settimane scorse era erogata solo due ore al giorno – nella paura e nell’inquietudine che accompagnano le giornate c’è chi continua a pensare in termini di condivisione, di accettazione dell’altro, di dialogo.
Si parla tanto di Ginevra 2 e si spera che si realizzi. Sul terreno però non troviamo nulla di nuovo, nessun passo in avanti, nessun miglioramento. Piovono bollettini di guerra da tutte le parti, le foto alle varie TV riprendono scene di corpi inermi o notizie di soldati uccisi, posti riconquistati o di nuovo perduti.
Anche ieri sera. Di fronte a quelle immagini non potevo non pensare che tutti sono stati creati per amore e che dietro ogni persona c’è un mistero di amore e di dolore, di speranze magari inattese, di aiuti non ricevuti, di miraggi che hanno deviato dalla giustizia e dal bene. Siamo qui consce che il nostro cuore deve battere anche per tutti quelli che stanno soffrendo ora nel mondo e non solo per guerre a volte purtroppo dimenticate ma per cicloni, inondazioni, difficoltà di ogni genere, anche nascoste, ma che rendono la vita estremamente amara. Ogni dolore è sacro e essere in Siria mi pare abbia ora un senso più profondo di condivisione con tutta l’umanità, destinata ad essere famiglia.