Diario dalla Siria /16

San Valentino a Damasco ha avuto i connotati del freddo e delle bombe, ma anche quelli di una signora ottantenne preoccupata del ricovero degli anziani, senza vetri, a causa di due razzi, e senza acqua calda. La guerra svuota di senso ogni cosa, eppure anche qui l'amore conta. Commenta
Aleppo

«Da Aleppo mi telefona un’amica ottantenne, carissima. Vuole dirmi con Mona: “Buona festa di San Valentino!” Non riuscivo a parlarle da mesi. Mi racconta che nel suo bell’appartamento in uno dei quartieri-bene di Aleppo mancano acqua, elettricità, riscaldamento, telefono e cellulare: sempre fuori campo. Sono sgomenta!

Ieri, giorno fortunato, hanno avuto per due ore l’elettricità al mattino e due nel pomeriggio e come tutti si sono dati da fare per ricaricare le batterie e le pile, lavare un po’ di panni, scaldarsi almeno un po’. Le chiedo come fa a vivere! Non riesco proprio a concepire la cosa, alla sua età. «Fa freddo, sai?», mi dice con semplicità. Certo che lo so, l’inverno ad Aleppo non fa sconti. La sento molto provata ma nonostante tutto in piedi, dignitosa e sempre volta a pensare agli altri. Mona me lo conferma: «È questa la nostra forza, ci sentiamo vive nonostante tutto. Sai, la mia grande sofferenza è non poter arrivare a tutti quelli che patiscono, in vari modi e mi racconta fra il resto delle persone anziane del ricovero tenuto dalle suore di Madre Teresa, proprio vicino all’università di architettura, dove alcune settimane fa sono caduti i due razzi. Il ricovero ha ora al posto dei vetri dei pezzi di plastica e fa freddo, terribilmente, e non si può neppure scaldare l’acqua per lavarsi.

«Hai sentito?», mi dice. Sì, l’ho sentito il colpo forte e poi l'altro. «È di nuovo quasi sempre così, da almeno tre giorni». Nel pomeriggio un’altra amica mi chiama, siamo felici, dopo mesi, di poterci finalmente parlare. Fa’ pena sentirla pronunciare la fatidica parola: emigrazione. Se l’aeroporto di Aleppo non aprirà, è decisa di tentare di arrivare via terra in Libano, dove ha familiari, e di lì, visto permettendo, trasferirsi in un Paese occidentale, dove abitano da tempo i fratelli. Non vorrebbe mai fare questo passo, ama profondamente la sua terra come in genere tutti i siriani, ma il futuro è troppo incerto.

Se non si interviene in fretta per trovare vie reali di pace c’è da aspettarsi che la Siria si svuoti di persone molto valide, soprattutto giovani, rendendo il futuro del Paese ancora più precario. Mi chiede preghiere, per il viaggio. Ha paura di affrontarlo, ma restare in città le è diventato impossibile. Esce solo per fare le spese più urgenti e poi subito a casa, sperando ogni volta che i colpi si attenuino.

Anche qui a Damasco, oggi, non si scherza con i colpi ma sono lontani da casa, solo qualcuno mi fa sussultare. Al mattino sono uscita per spese, c’è animazione per le strade, guardo i negozi ancora ben forniti e ordinati ma quasi tutti vuoti di clienti, di soldi infatti ne girano ormai pochi e si fa attenzione ad economizzare per le spese necessarie ed impreviste.

Una delle esperienze che si vivono in stato di guerra è constatare il non-senso di tutto. Non ti viene più voglia di fare alcunché. Comprare, girare, andare, venire, organizzare, festeggiare, che senso hanno? Possono produrre tra il resto qualche cosa di veramente valido, capace di fermare la spada di Damocle che sta sulla testa di un’intera Nazione? Già, perché il desiderio che le violenze cessino diventa quasi l’unica idea che si ha in testa e che si vorrebbe realizzare, non c’è altro di più ambito. E ci si sente impotenti. Mi chiedo se la mia vita avrebbe più senso in un altro posto, magari sarebbe più utile. Mi sorprendo dalla forza e dalla chiarezza della risposta che mi trovo dentro: «No, perché tu vivi per amare e qui o là è la stessa cosa». Bella come risposta, mi piace davvero! E mi convince.

Un bel giorno di San Valentino allora, nonostante tutto».

Giò Astense

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