Diario da Kiev

Il direttore di Città Nuova vola in Ucraina per cogliere e registrare per noi quei momenti di massimo dolore e di massimo amore che emergono come non mai dopo scontri violenti come quelli dei giorni scorsi. Leggi gli ultimi aggiornamenti del diario sul blog In viaggio
Piazza Maidan
Si parte di nuovo, inaspettatamente per Kiev, uno dei luoghi decisivi per il futuro del continente europeo. La situazione appare relativamente calma a Kiev, le violenze si sono spostate in Crimea, dove la Russia ha enormi interessi economico-militari, strategici quindi. Il viaggio è nato in modo rocambolesco, ma queste sono le occasioni da non perdere. Per incontrare la storia nel suo farsi. Chissà cosa mi attende. Come sempre, quando le armi tacciono, per un certo lasso di tempo di qualche settimana, si crea uno stato di sospensione particolare che fa emergere l'intenzione vera di un popolo, stremato dalla vista del sangue versato e nel contempo desideroso di voltare pagina. Il massimo dolore e il massimo amore emergono come non mai in questi frangenti. L'ho già sperimentato in Kosovo, in Iraq, in Georgia. Speriamo che anche questa volta mi si presenti un tale stato sospeso… (Stazione Termini, 28 febbraio 2014)

 

C'è grande incertezza a Kiev e in tutta l'Ucraina. Si avverte l'emozione dirompente di un momento storico per l'Europa, anche se non si sa bene che cosa potrà succedere nei prossimi mesi. Bisogna cogliere il momento, capire quel che succede, riaprire le ferite e spurgare la strana virulenza che si è creata in questi ultimi anni da quelle parti. L'oscena esposizione delle ricchezze kitsch di Yanukovich racconta un comunismo ormai morto, una corruzione che ormai spazia e un'ingiustizia mai abbastanza denunciata. Mentre la gente normale fatica a mettere assieme quel che serve per sopravvivere. E allora si accende d'improvviso il cocktail molotov dell'ingiustizia, della fame e della mancanza di libertà. L'esplosione in questi casi è più che naturale. (Tra Roma Termini e Fiumicino, 28 febbraio 2014)

Nell'aereo della Ukrainian Airlines c'è aria di sospensione. Tra le badanti che tornano a casa e qualche uomo di affari – il volo non è pieno – i sorrisi tirati e le chiacchierate irrefrenabili ad alta voce paiono un segno dell'incertezza che attanaglia i cuori di tutti coloro che hanno per destinazione Kiev, in questi giorni tutto tranne che una ambita meta turistica, nemmeno per quella sordida migrazione sessuale che negli ultimi anni ha avuto tanto spazio in Ucraina. Chi torna di questi tempi nel Paese di Chernobyl lo fa per motivi legati in qualche modo alla rivoluzione. (Partendo da Fiumicino, 28 febbraio 2014)

Accanto a me si è seduta una giovane donna ucraina dai tratti delicati, multiforme, occhi chiari e capelli corvini, una delle tante e tante ragazze che stanno cercando fortuna fuori dal loro Paese. Sono le donne che migrano dall'Ucraina, solitamente di grande valore, che svolgono i loro compiti con abnegazione e intelligenza. Certo, qua e là la giovane badante che convince l'anziano assistito a sposarla e a intestarle tutti i beni la si trova, e talvolta la malizia abita il loro cuore. Ma sono eccezioni. Gli uomini, invece, paiono molto meno sicuri di sé e ben più propensi ai facili guadagni. Su quest'aereo ce ne sono meno della metà delle donne!

 

Mi sono riletto un po' di storia dell'Ucraina. Un susseguirsi quasi ininterrotto di guerre e conflitti civili, con continui cambi i monarchi e governanti, in una carneficina facile e ripetuta che ha avuto il suo culmine nella Seconda guerra mindiale, che provocò sette milioni di morti, due dei quali ebrei, ricordati nello struggente mausoleo di Babyn Yar, e pure titolo di una straordinaria sinfonia di Shostakovich. Appena un leader sembra riuscire a salire sul gradino più alto del podio, ecco che nel giro di pochi mesi perde ogni sicurezza e si ritrova a dover condividere il potere con i nemici di una volta, fino all'inevitabile rottura e alle altrettanto inevitabili elezioni. Le fazioni presenti nel Paese non sono così uniformi come si potrebbe pensare – russi, cosacchi, tatari, slavi ucraini, polacchi… -, per giunta divisi in culti molteplici e spesso in conflitto tra loro, come accade ad esempio per le tre Chiese ortodosse ufficiali. Frange violente – antiche e post moderne, dai cosacchi agli skinhead -, soffiano facilmente sul fuoco, infiammano piazze e palazzi del potere. Non c'è da stupirsi, allora, delle recenti fiammate nazionaliste e filorusse, che trovano la loro origine in brutali repressioni e in violente rappresaglie che si susseguono ogni dieci-venti anni. Per tutto questo non è poi così semplice immaginare una qualche soluzione all'attuale crisi: secessione, riconciliazione, autonomia delle regioni, guerra civile, Tymoshenko di nuovo al potere o emergenza dell'ex pugile? Tutte questioni che a tutt'oggi non hanno alcuna reale riposta.

 

L'incertezza ucraina è simboleggiata dalla sua bandiera, due strisce sovrapposte gialla e azzurra, in basso. Colori assolutamente insoliti nei vessilli dei Paesi slavi, che normalmente giocano le loro combinazini cromatiche tra bianco, rosso e azzurro. In varie combinazioni. Non si sa bene, in realtà, quale sia l'origine di tale vessillo. Una prima teoria cerca di spiegare la bicromia col fuoco e l'acqua, una seconda col grano e col cielo, una terza con l'origine svedese del Paese. Mi piace pensare che queste tre origini siano tutte e tre valide. Perché una nazione come l'Ucraina ha oggi bisogno di inclusione e non di esclusione. (Tra Roma e Kiev, 28 febbraio 2014)

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