Diario da Bangkok
Ci giunge dalla capitale thailandese sconvolta da una sorta di guerra civile una testimonianza toccante.
Giorni fa una bomba è esplosa dove c’erano i miei amici. Oggi passo in mezzo ai militari, ai manifestanti , li guardo e li fotografo. Mi sembra tutto così strano, inspiegabile ed inimmaginabile fino a poche settimane fa. Guardo i volti dei soldati: imbarazzo, smarrimento… Sorridono dopo un po’. Alcuni di loro sono ragazzini: 20 anni? Chi ha un fucile, altri un mitra, alcuni mangiano su di un muretto ed alcuni se ne stanno in silenzio, seduti. Dall’altra parte, magari, c’è lo zio, il conoscente del paesino dove si coltiva il riso e dove non piove da mesi… Dall’altra parte della strada, appunto, con bambù appuntiti i manifestanti in magliette rosse: urlano, alcuni sorridono, tutti sopra le barricate con gomme di camion a protezione. Ci saranno armi in giro?
Due barricate, sulle quali ci sono amici e conoscenti: divisi da cosa? Cos’è che li mette gli uni contro gli altri ? Sono tutti “miei”, anche loro, non li “allontano” dalla mia interiorità, non li escludo dal mio sguardo. Non esiste una spiegazione valida all’odio, alla divisione. Perché l’odio non è mai logico e non dovrebbe esistere. Perché l’odio divide, opprime; uccide l’altro. Lo esclude dalla vita che c’è in me. La vita è accogliere, è far spazio, anche se l’altro ti fa male. Perché lui “è” me e io sono lui. Non esiste mai una ragione valida per uccidere. È un’assurdità. Se Lui è entrato nella mia natura, nell’assurdo della mia vita, delle mia decisioni, dei miei sbagli e del mio voler possedere e non ha lasciato fuori nulla da sé, non posso non vederlo tutt’intorno. Lo sento tutt’intorno in questi giorni dove l’odio lo percepisci “palpitare” accanto a te: spesso, denso, lo puoi tagliare col coltello, come il burro. Solo che è amaro, amarissimo. Perché chi odia è solo. E la solitudine fa male davvero. Per me tutto ha un significato.
Esploderà una bomba? Me lo chiedo, è già successo. Cammino, guardo la gente, soprattutto gli occhi della gente: mi appartengono. Sono parte della mia vita, ed io della loro. Domani saranno vivi? Lo spero. «Buona fortuna», dico ad uno. E aggiungo: «Non morire, mi raccomando». Mi guarda incredulo e sorride. Poi passo dal parco: alcune “camicie rosse” mi salutano e io contraccambio. Speriamo che domani siano ancora lì, vivi. E se entrano gli altri col mitra?
I capi religiosi si sono mobilitati giorni fa: mons. Francesco Kriengsak, arcivescovo di Bangkok, e i capi religiosi buddhisti e musulmani hanno fatto un appello alla nazione, seduti allo stesso tavolo, uno a destra e l’altro a sinistra dell’arcivescovo. «Perdonatevi… Preghiamo tutti, alle ore 18.00, ogni giorno, senza distinzione di credo, di classe sociale, della parte politica, ognuno nella sua lingua di fede. Ma chiediamo quest’aiuto dall’alto». Sono stati ascoltati: il messaggio ripetuto più volte in televisione… Amici, monaci, musulmani… Tanti mi chiamano: «Abbiamo visto… anche noi ci uniamo»… «Beati gli operatori di pace»… «Spero e so che i miei amici in tutto il mondo hanno già raccolto quest’appello: siamo una forza, piccola ma reale»…