I diamanti sporchi di sangue dello Zimbabwe
Un rapporto dalla Ong britannica Global Witness dal titolo Un affare interno pubblicato l’11 settembre, mette a nudo le operazioni di sottrazione di fondi nel settore minerario dello Zimbabwe da parte delle élites militare e politica dello Zimbabwe, per finanziare il regime repressivo del presidente Robert Mugabe. Siamo da tempo abituati alle relazioni annuali delle Organizzazioni non governative internazionali, che evidenziano i diritti umani non rispettati nei Paesi meno ricchi dell’Africa. Ma la relazione di Globan Witness lascia veramente con la bocca aperta. Per vari motivi.
Global Witness accusa infatti le autorità di utilizzare i ricavi dell’estrazione di diamanti per finanziare l’oppressione politica praticata dal regime del presidente Robert Mugabe, che ha 93 anni ed è al potere da ben 36 anni!
La Ong afferma che l’esercito, i trafficanti e l’élite politica hanno assunto ormai stabilmente il controllo delle società operanti nelle miniere di diamanti nello Zimbabwe. Già nel 2011, Tendai Biti – che poi ha ricoperto la carica di ministro delle Finanze – aveva accusato la classe dirigente di essersi appropriata di 15 miliardi di dollari dei ricavi dell’industria dei diamanti, un capitale usato poi a scapito degli zimbabwesi.
L’indagine di Witness Global è stata basata su una revisione dei conti e delle transazioni delle cinque maggiori società minerarie operanti di recente nella regione di Marange nel Manicaland orientale, noto per i suoi campi di diamanti. Il rapporto mostra come le aziende, aiutate e protette dal Servizio di Intelligence Centrale, hanno falsificato i bilanci, nascondendo parte delle proprie attività al grande pubblico. Secondo la relazione, i militari stanno collaborando con un investitore cinese nella opaca società mineraria Anjin Mining, che venderebbe i suoi diamanti con tutta probabilità ad Anversa, in Belgio, nonostante le sanzioni europee contro i diamanti sporchi di sangue dello Zimbabwe.
Eppure, questo piccolo Paese dell’Africa meridionale risulta tra i più poveri del mondo. Anch’esso è vittima della “maledizione dei suoli africani”, espressione che si riferisce ai Paesi del continente i cui sottosuoli sono ricchissimi, ma che ancora languiscono nella povertà. Gli economisti stimano il tasso di disoccupazione ad oltre l’80%, mentre l’agenzia ufficiale statistica dello Zimbabwe parla di un irrealistico 11%.
Nel 2016, lo Zimbabwe ha sperimentato molti problemi economici: carenza di liquidità, grave siccità, politiche del governo ostili al business, prezzi delle materie prime al ribasso. Il governo ha emesso obbligazioni pubbliche per risolvere i problemi di liquidità emersi all’inizio dell’anno.
Nel 2018, il Paese voterà per un nuovo presidente. Ma si teme al solito una perdita di tempo: si sa già che l’anziano Mugabe ripresenterà la sua candidatura e verrà rieletto con percentuali “bulgare”.