Dialogo sospeso, crimini inauditi
Si è concluso nel nulla, almeno per ora, il dialogo nazionale tra governo e società civile. Mercoledì, nel seminario interdiocesano di Managua, la terza sessione dei colloqui si è conclusa senza accordo alcuno, su nessuno degli 8 punti presentati (3 da parte del governo e 5 dall’opposizione). La Conferenza episcopale (Con), mediatrice tra le parti, ha così deciso di sospendere i lavori della commissione di mediazione e garanzia del dialogo nazionale, attiva dal 16 maggio, e ha suggerito la conformazione di una commissione mista di 6 persone, 3 per ciascuna, per continuare a cercare un consenso minimo che permetta la ripresa dei negoziati.
La scintilla che ha acceso la miccia delle proteste degli studenti universitari, il 18 aprile, ai quali si sono aggiunti altri settori della società, come docenti, contadini, imprenditori, lavoratori indipendenti, indigeni, afrodiscendenti, Chiese evangeliche e cittadini, fu provocata dall’annuncio di una riforma delle pensioni che avrebbe gravato persino sui pensionati stessi, ritirata dal governo quasi immediatamente. «Ma cambiare la riforma è ormai tardi per una società che è stata scossa e ferita», scrisse allora la collega Lourdes Hércules (vedi articolo del 2 maggio).
Il problema, in effetti, erano e sono le morti e i sequestri, la violenta repressione con la quale la Polizia e dei gruppi paramilitari che sostengono il governo hanno risposto ai blocchi delle strade organizzati dai giovani. Le vittime fatali sono oltre 80, in poco più di un mese.
Al tavolo del dialogo nazionale partecipavano, da una parte i rappresentanti del governo e dall’altra i collettivi citati e membri dell’opposizione politica. Cinque i vescovi mediatori, tra cui il cardinal Leopoldo Brenes, arcivescovo di Managua, e il suo ausiliare, mons. Silvio Báez. Due gli accordi raggiunti: permettere l’ingresso al Paese di una delegazione della Corte Interamericana dei Diritti Umani per realizzare un’indagine indipendente dei fatti di violenza e sospendere tanto le protesto come il dispiegamento delle forze dell’ordine e dell’agguerrita Gioventù Sandinista per il fine settimana del 20 e 21 maggio, peraltro non rispettato.
Ma la terza sessione, come detto, si è conclusa con un nulla di fatto.
Nel corso della stessa, il governo aveva chiesto la sospensione immediata dei “tranques” (la chiusura delle strade con barricate di fortuna) per permettere la libera circolazione e le attività lavorative e la cessazione della violenza, di cui accusa una parte dei manifestanti.
Da parte sua, l’opposizione chiedeva di poter discutere una pre-proposta di legge per le elezioni anticipate e una per stabilire un regime di transizione che assicuri la democrazizzazione del Paese prima di tali elezioni; di rispettare i diritti dei territori indigeni, oggetto di invasione di terre, la creazione di un meccanismo per la ricerca della giustizia a riguardo delle vittime degli scontri che sia accettato da entrambe le parti, da parte di organismi internazionali; la soppressione dei gruppi paramilitari e dell’azione repressiva violenta della Polizia; l’assicurazione dell’integrità di tutti i cittadini e l’invio di “segni credibili di una volontà di dialogo e di pace” assicurando i diritti umani ed evitando di obbligare i funzionari pubblici a partecipare alle manifestazioni politiche progovernative.
Nulla di tutto ciò è stato accolto da nessuna delle parti le quali, come si può dedurre, partono dal presupposto che la controparte fomenti o permetta violenze ed abusi.
Nel corso della sessione, a porte aperte, gli imprenditori, che all’inizio del governo Ortega erano affini alle sue politiche, hanno appoggiato le richieste dell’opposizone, che includevano la deposizione di tutti i magistrati della corte elettorale – sui quali incombono forti sospetti di brogli elettorali in favore del capo di Stato – inclusa nelle pre-proposte di legge presentate nel processo di dialogo. Dal canto loro, i rappresentanti governativi hanno denunciato che, dietro l’apparenza di un dialogo nazionale si nasconderebbe l’intenzione di un colpo di Stato.
«L’agenda presentata oggi ha l’apparenza di voler smontare lo Stato costituzionale legittimamente eletto. Conduce a un colpo di Stato per rovesciare il governo», ha affermato il ministro degli Esteri, Denis Moncada.
«È un’accusa molto grave – ha risposto mons. Báez –. Qui c’è una crisi politica, e come commissione abbiamo scelto la via pacifica per risolverla». Il vescovo ha comunque ribadito che una delle condizioni della Chiesa al momento di accettare il ruolo di mediatrice, è stata quella di «andare alle radici del problema» per «spianare il cammino alla democratizzazione».
Pare poco probabile che la democratizzazione richiesta si possa attuare con un cambio di atteggiamento da parte di Daniel Ortega, presidente dal 2007 e sua moglie e vicepresidente, Rosario Murillo, anche perché, per fare solo un esempio, la Gioventù Sandinista dovrebbe dissolversi o quanto meno abbandonare l’attività paramilitare, per la quale i suoi integranti ricevono benefici.
Martedì la Conferenza episcopale aveva denunciato minacce di morte verso vescovi e sacerdoti, orchestrate «da parte del governo attraverso giornalisti e media da esso controllati e utenti falsi nelle reti sociali». In particolare le minacce si concentrano proprio sulla figura di mons. Silvio Báez Ortega, uno dei più critici del governo.
«Ricordiamo agli aggressori siamo un unico corpo – avvertiva la Cena nel suo comunicato –, se si attacca un vescovo o un sacerdote, si attacca la Chiesa: non rinunceremo ad accompagnare in quest’ora decisiva il popolo nicaraguense che sotto il bianco e il blu della nostra bandiera è uscito nelle piazze per reclamare i suoi legittimi diritti».
Mons. Baez era apparso anche in un video diffuso per i social media: «Ho pianto perchè sono morti tanti giovani, senza motivo, ingiustamente, e con una crudeltà senza limiti». Riferendosi alle torture, raccontava: «Ho saputo di tre giovani della Pastorale giovanile di una parrocchia, ai quali, in carcere, hanno strappato le unghie dalle mani. Ci sono storie terribili. La nostra gioventù non se lo merita». Un numeroso corteo di fedeli ha manifestato venerdì il sostegno popolare verso i vescovi.
Dopo la sospensione dei dialoghi, sono ripresi i “tranques” e, con essi la repressione, e la morte di almeno altre due persone. A León un parroco è dovuto intervenire per far liberare 15 studenti sequestrati dalla Gioventù Sandinista, falsamente accusati di utilizzare mortai, maltrattati e prigionieri in un’ufficio provinciale dopo essere stati attaccati e letteralmente scovati da una casa il cui proprietario aveva messo a disposizione come infermeria.
La situazione rimane tesissima, come ci conferma un giovane portavoce degli “autoconvocati”, anomimo per motivi di sicurezza. «Ho dovuto sostuire con un alias il profilo di Facebook e Twitter e bloccarne l’accesso amici, e persino a zii e cugini…». Basta postare una foto o un commento sfavorevole al governo per finire nel mirino ed esporsi a sequestri e aggressioni. «Sono gli stessi vicini di casa e persino i parenti coloro che prendono nota, per le strade, davanti a tutti, dei nomi di chi protesta», racconta. L’ha visto. Ma non ha la minima intenzione di arrendersi. «L’unica “assicurazione” sulla vita è avere tante amicizie e conoscenze e, comunque, come tutti i manifestanti, anch’io ormai esco di casa con il volto coperto, e non per i lacrimogeni».
Le proteste bloccano per ore le arterie di Managua e di altre città del Paese. «Inizialmente erano a singhiozzo, poi sono diventate praticamente permanenti, e si fanno passare solo le ambulanze e gli aiuti umanitari», spiega. «E gli automobilisti non protestano?», gli domandiamo. «Uno su cento – riassume –, la stragrande maggioranza è d’accordo con noi». Il fatto è che la violenza della repressione è palese. E le riprese dei pochi canali tv non controllati dal governo (tra quelli statali e quelli di proprietà dei 4 figli del presidente) hanno valso la chiusura delle trasmissioni con l’accusa di incitazione alla violenza, misura poi rientrata dopo pochi giorni per le proteste cittadine. Drammaticamente noto il caso di Alvaro Conrado, quindicenne che partecipava alle proteste facendo la spola dentro e fuori dalla zona del “fronte” (le barricate), dove portava acqua e bicarbonato per contrarrestare l’effetto dei gas lacrimogeni. Un francotiratore l’ha colpito al collo sparando dallo stadio.
«Si sono riscontrati casi di omissione di ausilio, che hanno causato morti evitabili, persino in cliniche private. “Non assistiamo delinquenti”, dicevano», racconta la nostra fonte.
Ora, con il dialogo in sospetto, può accadere di tutto. Il nostro giovane è convinto che tante persone che non sono scese in strada l’abbiano fatto perché era attivo un dialogo civico.
È grato dell’interesse di Città Nuova. Con la censura più all’erta che mai non è facile far sapere all’estero che cosa succede in Nicaragua, anche se media indipendenti come 100% Noticias continuano a mostrare la crudezza dei crimini. L’Organizzazione degli Stati americani, durissima con il governo del Venezuela, ha affermato attraverso il segretario generale Luis Almagro che la via d’uscita dalla crisi nicaraguense “dev’essere elettorale”, posizione che gli è valsa una pioggia di critiche dal Paese. L’Unione europea, che aveva salutato l’inizio dei dialogo, condanna le violenze governative, mentre gli Stati Uniti hanno chiamato il governo a rispettare le 15 raccomandazioni della Corte interamericana dei diritti umani, che ha visitato la nazione centroamericana dal 17 al 21 maggio confermando l’esistenza di esecuzioni extragiuriziarie a mano di francotiratori ed altre aggressioni, che hanno causato 76 morti (già saliti ad almeno 80), 868 feriti e 438 detenuti, e che venerdì che ha emesso misure cautelari per la protezione di 13 giovani.
Le aspettative per i lavori della commissione 3+3 sono basse.
Gli autoconvocati esigono alla federazione delle camere di industria e commercio e servizi del Paese di indire uno sciopero generale. I partiti dell’opposizione, le dimissioni di Ortega ed elezioni anticipate. «Ortega deve ascoltare la voce del popolo sovrano, che si fa sentire qui per le strade», ha inveito la presidente della coalizione dell’opposizione Fronte Ampio per la Democrazia, Violeta Granera, convinta che «il dialogo vero è per le strade, e continuerà». Il presidente «deve dirigere qui il suo sguardo per prendere le decisioni. E qui si va per la via pacifica, oppure, purtroppo, ci saranno conseguenze per lui e per il suo governo, come quelle che sta soffrendo il popolo. Adesso dobbiamo rimanere attenti, ed essere più audaci, creativi e forti con le proteste», ha indicato.