Dialogo in politica: è possibile?
Ah, la politica! Passione e rabbia, alti ideali e insulti quotidiani…. questo il panorama italiano in cui le trasmissioni politiche urlate fanno share, sono seguite anche dai non addetti ai lavori, che sono attenti a dove sta andando il Paese o più prosaicamente al proprio portafoglio.
Tutti, più o meno marginalmente, ci interessiamo di politica, la cosa curiosa è che spesso teniamo le riflessioni per noi, evitiamo di commentare i fatti in famiglia, con i colleghi e nei diversi contesti in cui ci troviamo. Si tratta di argomenti divisivi e si teme di essere giudicati ed “etichettati” in una particolare area politica oppure di rovinare i rapporti buoni che abbiamo con persone a noi vicine.
Altri, una minoranza, scelgono invece di manifestare pubblicamente le proprie opinioni, di portare avanti una causa, con un impegno diretto oppure esprimendosi a voce e sui social, con l’idea che non bisogna tacere ma si deve dare un contributo anche piccolo perché il mondo migliori, convincendo altre persone di una giusta causa.
Intenti nobili ma spesso, per portare avanti la causa che riteniamo giusta o addirittura fondante della nostra convivenza civile, finiamo per accalorarci e scontrarci con chi la pensa diversamente, andando anche pesantemente sul personale. In questo ci facciamo trascinare dal mainstream di molti politici e organi di informazione che usano linguaggi violenti o la delegittimazione dell’avversario come metodo “scientifico” per creare consenso. Ne esce la rissa quotidiana in tv e sui social a cui ormai siamo abituati e quasi assuefatti, che davvero sembra oggi l’unica strada possibile.
Ci chiediamo, da testardi cittadini che vogliono essere “operatori di pace”, come si può, senza rinunciare ad esprimere le proprie idee, sentirsi prima fratelli e poi avversari politici ?
Il primo passo, a mio parere, è dare all’altro una possibilità.
Pensare che, anche se a me sembra ovvio che tutti dovrebbero pensarla al mio stesso modo, ci possa essere qualcosa che mi sfugge e che altri colgono con più efficacia. In fondo è una cosa umana: nessuno può conoscere tutto e i problemi sono complessi, ma quando sono in gioco i nostri valori tendiamo ad essere manichei: io ho ragione, tu hai torto. Invece, ci insegnano importanti formatori che ognuno ha la sua “mappa”, la sua visione del mondo che ci porta a dare letture sempre diverse delle cose.
Ma allora anche Salvini può avere dei valori? Anche chi è per l’accoglienza a tutti i costi può avere una parte di ragione? Chissà, intanto partendo da questa premessa si eliminano una serie di ostacoli al dialogo ed anche alla nostra serenità: se dò all’altro una possibilità non posso trattarlo come fosse stupido, come se «è un mio fratello ma proprio non ci arriva», non posso deridere i leader dello schieramento opposto al mio e chi li vota come fossero perennemente in malafede, non posso atteggiarmi a possessore della verità in esclusiva.
Secondo passo, verificare il mio linguaggio:
Le parole che usiamo non sono indifferenti. Le parole trasmettono emozioni, possono trasparire ascolto o disprezzo, curiosità o superiorità intellettuale. Questo non vuol dire rinunciare alle proprie idee, e neanche a manifestare in modo deciso e pubblicamente per cambiare le cose. Ma le parole e l’atteggiamento che abbiamo verso gli interlocutori o verso i leader delle forze politiche a noi lontane fanno la differenza. Parole come buonista, razzista, medievale, disumano e così via siamo liberi di usarle, ma dobbiamo essere consapevoli che alzano muri. Perché uniformarci anziché dare un segnale di novità che può essere vera rivoluzione?
Terzo passo, mettersi nei panni dell’altro.
Per me è sempre affascinante come si ritrovano nei progressi della scienza, in questo caso delle tecniche di comunicazione, concetti che a ben vedere erano ben presenti in un antico libro chiamato Vangelo. Oggi si parla di “creare rapporti” e di “sincero interesse” come premesse essenziali per una comunicazione efficace. Una provocazione ancora più affascinante l’ha lanciata il professor Massimo Donà che è un non credente tra i maggiori filosofi italiani, ed ha scritto assieme al teologo Piero Coda libri sul pensiero trinitario (1). In parole povere è questa: solo conoscere in profondità il pensiero dell’altro mi fa crescere nel mio pensiero. Le cose che ci uniscono e quelle che ci dividono non sono in “luoghi” separati e distinti ma convivono e ci fanno, assieme, uniti e distinti o uniti nella distinzione.
Quarto passo, avere il coraggio di un confronto sereno.
Con queste premesse diventa troppo importante andare al cuore dei problemi, uscire dalla nostra “zona di comfort”, sia essa il silenzio o l’insulto più o meno velato, e avere il coraggio di parlare e in questo modo costruire rapporti umani più veri, non limitati alla superficialità o a quello su cui ci troviamo d’accordo. Scopriremo che spesso proprio con chi è di idee più lontane dalle nostre può nascere una intesa solida che va oltre le distinzioni. Un po’ come tra un filosofo ateo e un teologo.
Vedi il filmato su Dialogo con Piero Coda e Massimo Donà, Roma, 3 aprile 2019, Sala del Refettorio – Senato della Repubblica. Ciclo di incontri su “Ripensare il pensiero, anche in politica”.