Dialogo interreligioso, dialogo della vita
A Palermo, le giornate di studio sul dialogo interreligioso e interculturale hanno radicato questo dialogo nel contesto del quotidiano della città
Si sono svolte a Palermo nei giorni scorsi le “Giornate di studio e riflessione sul dialogo interreligioso e interculturale”, promosse dalla Regione Sicilia, dal Coppem (Comitato Permanente partenariato euromediterraneo dei poteri locali e regionale, che associa 43 tra città e regioni sia della sponda sud che di quella nord del Mediterraneo) e dalla Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia. Gli incontri si sono svolti presso la sede arcivescovile di Palermo alla presenza di esperti dei vari settori culturali, sociali e religiosi provenienti dal mondo cattolico, musulmano ed ebraico.
Sono stato invitato ed ho partecipato con sincero interesse seppur, devo confessarlo, temevo che queste due giornate alla fine fossero un’ulteriore celebrazione di un dialogo senza cuore, di una convegnistica fine a se stessa. Invece ho visto in questo incontro diversi elementi di novità. Innanzitutto quello che potrei chiamare, l’elogio delle città, presenti grazie al Coppem e alle esperienze dei sindaci di Moerdjik (Paesi Bassi), Binyamina-Givat Ada (Israele) e del responsabile dell’ufficio internazionale dell’Organizzazione città arabe.
È una bella prospettiva coniugare il dialogo interreligioso con le città, dove si può attuare il cosiddetto “dialogo della vita”: la professoressa Viola, della Facoltà Teologica di Sicilia, ha infatti fatto notare che Francesco d’Assisi aveva scelto la città, non l’eremo. Infatti, nelle città si sperimentano i conflitti quotidiani, che non vanno demonizzati ma vissuti con serenità, e la possibilità concreta di buone pratiche: questo veniva in evidenza dalle esperienze dei sindaci presenti, ma anche da quella della Chiesa di Mazara del Vallo, portata dal vescovo di mons. Mogavero.
Altro tema toccato è stato quello dell’identità religiosa: ricchezza o problema? Grazie alla presenza degli enti locali, si intravedeva l’ipotesi di coniugarla con la comunità civile: come accade a Binyamina-Givat Ada dove bambini palestinesi e israeliani studiano insieme, grazie anche al sostegno dei loro genitori. Il sindaco ha infatti affermato che in Palestina il conflitto non è tra religioni, ma tra territori: le religioni non devono dunque essere parte del problema, bensì parte della soluzione.
Mons. Raspante, vescovo di Acireale e moderatore delle giornate, ha posto bene la barra della discussione sul tema del rapporto tra religioni e Stati: «In che modo – si è chiesto – le religioni contribuiscono alla crescite delle società?». La laicità dello Stato, la convivenza civile e la valorizzazione del pluralismo sono di primario interesse per le religioni?
Non tutte le domande hanno trovato risposta, a prova che il terreno sul quale si sono mosse le due giornate era fecondato da «umiltà teologica», come l’ha definita il rabbino David Rosen, direttore internazionale per gli Affari interreligiosi dell’American Jewish Committee in Israele. Ma sono state un momento importante perché il dialogo interreligioso ha bisogno di concretezza, di continuità e quindi di un luogo fisico dove vivere e sperimentare questo dialogo.
Le città, come ben evidenziato dal dibattito, possono svolgere questo ruolo. Un posto dove fare sintesi delle esperienze e farle divenire prassi, azione e norme condivise per il dialogo forse è la prospettiva.