Dialogo con i lettori

Si parla molto spesso sulle colonne di Città Nuova di traffico di armi e della necessità di stoppare il commercio degli strumenti di morte. E, associato a questo filone, si parla di “economia disarmata”. Che vuol dire? Giulio Mainenti - Genova

Economia disarmata  non vuol dire ovviamente “economia senza armi”. In una società simil- paradisiaca si potrebbe ipotizzarlo. Ma c’è un ma. Quando lo Stato trascura produzioni civili (vedi il caso Finmeccanica- Leonardo) per privilegiare quelle degli armamenti non commette una distorsione della Carta costituzionale che predica la pace?

Quando il commercio di armi diventa un incentivo alle guerre nel mondo intero, e le nostre imprese di armi sono in prima linea, siamo nella retta via? Le più recenti statistiche offerte dal Sipri sono inequivocabili: «I venditori vedono in testa gli Usa, con il 33% del mercato globale, dietro ci sono Russia, Cina, Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia, che ha registrato un incremento del 22%». Noi italiani “piazziamo” la nostra “merce” in molte aree (i turchi sono il nostro primo cliente), ma abbiano allargato la presenza nella regione del Golfo. Proprio le zone dove più imperversano le guerre. Le sembra giusto che la nostra Italia debba soffiare sul fuoco? Queste armi sono offensive, non difensive. Il progresso va di pari passo con le guerre? No, le guerre non fanno che far arretrare la nostra umanità.

Convincere  Renzi a non ripresentarsi

Pur avendo l’obiettivo di invitare l’establishment a indicare un nome per il prossimo premier, mi rifiuto di fare l’analisi degli ultimi 6 mesi di Renzi: provo imbarazzo. Il Paese si fermò (così il Parlamento), assistemmo, esterrefatti, alle sue cavalcate giornaliere con ogni mezzo di locomozione, su e giù per l’Italia, a un bombardamento di parole e di promesse senza senso, a favore di un Sì (che io ho votato) che nelle urne diventò un secco No. Era umanamente comprensibile che, giovane com’è, puntasse tutto sul suo progetto, bocciato il quale avrebbe dovuto trarne le conseguenze. Lo fece, dimettendosi. Ma era una finta. L’aspetto negativo, in termini di immagine, è che ora voglia nuovamente di vendetta le ottunde la mente; piuttosto si faccia questa domanda: perché dovremmo darle un’altra chance?

› Giovanni Arletti – Carpi

Matteo Renzi è un cittadino con tutti i diritti civili, quindi nulla osta che si ripresenti candidato per un altro giro di giostra. Tutto sta a capire se non gli convenga saltare un giro per potersi “rifare una verginità”, o piuttosto per capire meglio quale è il modo migliore per intercettare il sentire degli italiani e i loro desiderata. Ogni lettore si farà la sua opinione, e alla fine saranno gli elettori a decidere

Dj Fabo

Si è appena conclusa la tragedia di Fabio Antoniani (Dj Fabo) in una clinica svizzera. Una tragedia che è stata subito fatta oggetto di speculazione politica e spettacolare intervista davanti a una selva di microfoni, come un divo della ribalta hollywoodiana. Non si è neanche fatto mancare, come sfondo una caserma dell’Arma, che avrebbe meritato ben altro rispetto da parte sua. Mancavano solo i riflettori. Facile sarebbe, di fronte a simili trucchi, indulgere ad un senso di sgomento e cadere in un clima di rissa. Ma sappiamo benissimo che proprio questo è l’intento di “lor signori”. D’altra parte, lo squallore è facilmente riconoscibile, anche se spacciato per nobile sentire.

› Vedran Guerrini

Michele Serra ha commentato la decisione della madre del dj Fabiano Antoniani di salutare in chiesa il figlio che ha deciso di morire. Secondo lui «alla Chiesa è giusto chiedere di non intromettersi nelle leggi dello Stato, che sono di tutti». Più discutibile è pretendere che quella comunità si adegui a convincimenti, costumi e sentimenti che esistono (eccome se esistono) comodamente al di fuori di quella stessa Chiesa. È come se moltissimi laici, sotto sotto, si sentissero transfughi in cerca di comprensione e di perdono. Bisognerebbe abituarsi meglio a una rispettosa diversità di vedute: gli uni amici degli altri, ma senza obblighi» (L’Amaca,7/3/2017). La mia opinione è che Michele Serra ha sollevato un grosso tema, quello del difficile confronto con la Chiesa e la religione cattolica da parte dei non credenti quando sono sul punto di morire. Il problema non è costituito tanto dai laici; la mia convinzione è che essi anche in punto di morte di solito rimangono fedeli alle loro idee non religiose. Il problema, piuttosto, è quello dei parenti cattolici, i quali si sentono in dovere di “redimere”, spesso riuscendoci, colui che muore assicurandogli i conforti religiosi e la presenza in chiesa per il funerale.

› Franco Pelella Pagani (SA)

Sui temi etici di frontiera noi italiani abbiamo ancora la forza di impegnarci in dibattiti senza fine. Non è un male. Tacere sarebbe peggio, perché vorrebbe dire che avremmo esaurito tutte le energie culturali e intellettive che in materia etica sono necessarie. Sulla questione di Dj Fabo bisogna distinguere la libertà di un uomo o di una donna di chiedere che l’accanimento teraupeutico non venga applicato e la necessità di salvaguardare la vita fin all’ultima sua stilla. Non ci sono risposte tutte fatte, perché quel che dice la dottrina cattolica, ma anche in parte quella laica, che cioè la vita vada preservata dall’inizio alla fine, non può che essere un principio generale che poi va adattato alle situazioni di luoghi diversi (il particolare) e di persone diverse (il personale). Sbandierare certezze assolute rischia di nascondere questo triplice spazio decisionale.

Esperienza del centesimo

L’anno scorso su Città Nuova avevo letto l’esperienza fatta da una coppia che aveva raccolto un centesimo per strada e l’aveva fatto fruttare con una bella idea. Perché non provare anche noi? Ho lanciato l’idea a delle amiche e siamo partite in questa esperienza, mettere da parte i centesimi per poi fare un regalo a qualcuno e intanto l’idea del dare era sempre presente nel nostro spendere. Passato l’anno, tutti i centesimi sono finiti in due borse che portati alla banca sono risultati essere 100 euro. Ci siamo confrontate su cosa fare e a chi darli arrivando alla conclusione che potevamo fare due abbonamenti a Città Nuova per il carcere di Pordenone sapendo che chi faceva già da anni questo dono era in difficoltà. È stata tanta la gioia che si è deciso di continuare la raccolta allargando ad altri la proposta e cosi siamo ripartiti per la nuova avventura. Grazie, Città Nuova, che fai circolare anche queste notizie e ci aiuti ad essere      in donazione “spicciola”.

› Giovanna – Pordenone.

La  nostra città.

Dal direttore delle poste.

«Erano mesi che non arrivava la rivista Città Nuova a Pozzuoli. Ero andata, a più riprese, alla sede centrale delle Poste, ma al citofono nessuno rispondeva. Il 25 novembre, passando davanti al cancello, mi accorsi che era aperto con una fila di persone che cercava di parlare con il responsabile. I tanti impegni  di quella giornata mi spingevano ad andare oltre. Ma non mi sembrava vero che quel cancello fosse aperto! Pensando a quanti mi sollecitavano una soluzione, decisi di mettermi in fila anch’io. Quante difficoltà! Mancato recapito  di convocazione per  un lavoro, per visite mediche, bollette varie, multe… Fui tentata di lasciare la fila, quasi mi vergognavo della mia difficoltà: “In fondo è solo una rivista”, mi dissi. E mi venne un pensiero: “Ma tu sei convinta del valore di Città Nuova? E allora vai avanti”. Arrivata dal direttore non solo gli dissi del nostro problema ma anche del danno che provocava la mancanza di un giornale importante per giovani e adulti, lavoratori, docenti e alunni, pensionati. Appena seppe il nome della testata, si illuminò e, rivolgendosi a quanti erano in fila, disse: “Si, è vero, non è un giornaletto insignificante ma è una rivista importante, utile, capisco la loro difficoltà. Farò di tutto perché possiate riceverlo”. E così sono arrivate anche le copie dei mesi precedenti. La notizia si è diffusa e altri mi hanno chiesto di aiutarli, non solo per Città nuova, ma anche per altre riviste a cui sono abbonati. Sono ritornata, quindi, dal responsabile sia per gli abitanti della mia strada che di un altro rione. In risposta al mio “grazie” per aver risolto il problema, risponde: “Venga quando vuole, per ogni difficoltà, perchè noi siamo pronti a correggerci. Vede? Adesso anche il citofono funziona”.

MARIA CLARA TORTORELLI – Pozzuoli (NA)

 

Economia di Comunione Nel piano progettuale dell’Alternanza Scuola Lavoro, la nostra classe 4aA del Liceo Linguistico “S.M. Scholl” di Trentoha avviato una interessante ricerca, che porta all’attenzione esperienze economiche denominate “economie civili”, tese: a concretizzare percorsi lavorativi che possano mettere al centro la persona e il bene comune e a perseguire la sostenibilità ambientale e lavorativa, il mantenimentoe la creazione dei posti di lavoro. In classe, abbiamo avviato un approfondimento a partire dalla lettura conoscere meglio il suo progetto  di  Economia di Comunione. Abbiamo compreso come un mondo diverso sia possibile, come una particolare economia può donare la felicità, può salvare posti di lavoro, può cambiare, gradualmente, il modello capitalistico e, in sostanza, può fare del lavoro un luogo di crescita per l’umanità. Il signor Comper e Francesco Crepaz ci hanno invitati, sorprendendoci(forse perché in noi hanno visto un sincero interesse) a prendere parte ad altre loro conferenze divulgative e presentare il nostro approfondimento culturale. Speriamo di essere all’altezza.

› Gli studenti e le studenti  della classe 4aA, Liceo M.S. Scholl, Trento

Tanti si chiedono come si possa fare vero giornalismo quando si hanno dei progetti da sostenere e un ideale da diffondare. Noi di Città Nuova proponiamo l’ideale della fraternità universale e i suoi progetti Economia di Comunione, SlotMob, Economia disarmata, una Chiesa di comunione… Vi assicuro che è appassionante, come giornalisti che cercano a tutti i costi il dialogo, inoltrarsi in questi percorsi. Non esistono più, o forse non sono mai esistiti, i giornalisti che hanno una totale indipendenza di giudizio. Ogni giornalista ha un suo complesso di convinzioni che “deve” dichiarare. Altro è poi usare gli strumenti del giornalismo con professionalità, lealtà e lungimiranza, cosa che va perseguita sempre e comunque per essere credibili. Quando arrivano lettere come questa ci diciamo in redazione che il nostro lavoro non è vano.

Tangentopoli

Si sono celabrati i 25 anni di Mario Chiesa e dall’inizio della memorabile stagione che tutti chiamano oggi Tangentopoli. Si  è celebrato l’insuccesso di quella stupefacente guerra che assicurò alla giustizia molti intoccabili, distrusse una intera classe di politici e amministratori corrotti, ma non riuscì a sconfiggere la corruzione. La colpa dell’insuccesso non fu certo di quei cinque gloriosi magistrati, cinque eroici servitori dello Stato, ma fu senz’altro: 1) della grande stampa (quotidiani e tv) che fu sempre attenta a non prender mai posizioni in favore di una delle parti e assistette a quella battaglia di giustizia col distacco imparziale di un telecronista che racconta un appassionante match di boxe o una partita di calcio; 2) di una parte politica e di governi che non esitarono a usare i mezzi e il carisma del  governo per sparare, pro domo sua, contro un alto, autonomo potere dello Stato, la magistratura; 3) fu colpa di tutti noi nella misura in cui fummo eventuali complici di quella stampa e di quei governi.

› Roberto di Pietro – Padova

La stagione di Tangentopoli non è finita. Basta scorrere le pagine dei giornali per capire quanto la politica italiana sia ancora attraversata da infiniti rivoli di corruzione, grande o piccola. E non solo quella italiana, d’altronde. La democrazia, tutte le democrazie soffrono grandemente in questo momento del fenomeno corruttivo e spesso e volentieri non sanno resistere alla “tentazione” del tornaconto personale o di gruppo. La novità in Occidente sta nel fatto che è soprattutto la prima (la tentazione del tornaconto personale) che prende il sopravvento su quella di gruppo. È una tendenza generalizzata (si veda quel che sta accadendo  in  Francia con le inchieste su Fillon, Macron e sulla Le Pen), che obbliga ad inventare altri strumenti politici, oltre all’applicazione rigorosa degli strumenti giudiziari

Una serie di domande che spesso i giovani pongono

Può una società basata su modalità stressate di consumo, essere sostinibile nel lungo periodo? Il Pil scenderebbe? Da giovane mi facevo le stesse domande. Certo L’Italia di allora era uscita distrutta dalla guerra, al governo  c’erano De Gasperi ed Einaudi in luogo di Renzi e di Padoan; all’opposizione Togliatti anziché Berlusconi. Ma le regole del gioco erano quelle liberal democratiche di oggi, mutuate dal mondo anglosassone, il Partito comunista fungeva da contrappeso dei poteri e garante verso l’Unione Sovietica. I miei genitori, non mi avevano trasferito alcuna ideologia politica, ma avevano investito in cultura per fare di me un giovane uomo libero. Il consiglio è di scegliere lo stile di vita più confacente alla propria personalità, senza porsi problemi di compatibilità complessiva del sistema. Noi europei in questa fase storica siamo il 7% della popolazione mondiale (in riduzione), produciamo il 25% del Pil del mondo (in riduzione), consumiamo il 50% del welfare globale. Immagino sia evidente quale sarà il destino delle future generazioni in termini di tenore di vita. Eppure quelli che ci governano fingono che non sia un  problema, giocano con le loro curiose formulette ideologiche, a questo punto cosa può fare un singolo? Nulla, ha un solo strumento per far valere le sue idee, i suoi valori: votare secondo scienza e coscienza.

G.A – Emilia Romagna.

la cultura crea libertà, la cultura non ideaologica apre l’orizzonte della civilità.

Riparliamone- Turbamento.

Mi ha lasciato perplesso la scelta proposta alla fine dal nipote. Una scelta moderna, secondo la moda di molti conviventi soprattutto quando arrivano al primo figlio. Più realista sarebbe stata la proposta di riscoprire il valore del fidanzamento.

(Giuseppe)

Credo che Città Nuova esprima il pensiero cattolico attuale. Per questo mi chiedevo se non sarebbe opportuno segnalare la posizione della Chiesa cattolica su tale argomento, per non dare adito a equivoci. La mia richiesta nasce da un vero turbamento interiore che vivo pensando alle situazioni di alcuni abbonati che conosco: giovani, una religiosa anziana che diffonde il giornale, famiglie che si stanno interrogando su questa realtà, una persona con responsabilità educative a largo raggio.

(Giovanna)

Prima di tutto grazie delle vostre lettere. Ogni volta che trattiamo un argomento “delicato” come questo, prima di tutto ci confrontiamo tra noi redattori. Con posizioni variegate e conseguenti discussioni. Comunque, per chiarire, il riferimento antropologico di Città Nuova è la famiglia composta da padre- madre-eventuali figli. Su fidanzamento e matrimonio seguiamo l’insegnamento dell’Amoris Laetitia (vedi in questo numero anche la rubrica di don Paolo Gentili, responsabile della pastorale familiare della Cei). Riteniamo essenziale il valore della differenza maschile-femminile. Allo stesso tempo, però, intendiamo accogliere e rispettare le concrete situazioni familiari e di coppia presenti nella società di oggi. Non è relativismo: riteniamo che ogni scelta, anche la più insolita, abbia alla base dei “valori” che vanno compresi, o delle ferite che vanno curate. Per chi, come noi giornalisti di Città Nuova, spera e opera per la fratellanza universale, questo stile di accoglienza è fondamentale. Per questo nella rubrica citata diamo voce sia alla nonna (che ha vissuto nel contesto sociale di ieri) che al nipote (che vive nella società “liquida” di oggi). Per questo nell’inchiesta sul matrimonio, pubblicata nel numero scorso, c’è la voce di chi si sposa e quella di chi convive. Se non ci si ascolta, se non ci si accoglie, non si costruirà mai una società migliore.

(GM)

 

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