Dialogo ancora una volta parola chiave
Il Paese caucasico presenta una popolazione quasi completamente musulmana con minoranza limitate di cristiani-ortodossi ed ebrei. Il contesto si presentava, quindi, ideale per una nuova esperienza di dialogo, come ha fatto notare il cardinale Jean Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. «La fraternità invocata nel motto del viaggio di Francesco è già vissuta per molti aspetti dai leader religiosi del Paese e servirà a rilanciare al mondo di oggi un importante messaggio». In sintesi la tappa in Azerbaigian potrebbe essere definita con un sì a multiculturalismo e con una attenzione alla necessarietà della complementarietà, della collaborazione e del rispetto tra culture e religioni.
Papa Bergoglio ha guardato alla giovane repubblica caucasica, che si appresta a celebrare il venticinquesimo della sua indipendenza, affermando di essere ammirato per la complessità e ricchezza della cultura del Paese, frutto dell’apporto di tanti popoli che lungo la storia hanno abitato queste terre. Il papa, comunque, non si è nascosto le molte problematiche che restano da affrontare. Per questo ha invitato coloro che sono corsi ad ascoltarlo a rivolgere attenzione a tutti specialmente ai più deboli e a impegnarsi a costruire una società aperta al dialogo fra tutte le componenti etniche, culturali e religiose. Come ha detto ancora una volta il Card. Tauran, Bergoglio ha ribadito con chiarezza che il dialogo – e non la guerra – è la via maestra, l’unica degna di essere percorsa verso la giustizia e la pace. Il dialogo è conoscersi, apprezzarsi, saper ascoltare. Queste attenzioni alle persone nell’ordinario della vita sono molto importanti, perché è lì che si crea una cultura della pace e che nasce la speranza.
Nelle giovani repubbliche caucasiche è necessario più che mai che ciascuno porti il proprio contributo al bene del paese, ha affermato il papa, augurando all’interno dell’Azerbaigian così come nel rapporto con gli altri Stati, armonia e coesistenza pacifica in un mondo che sperimenta il dramma di conflitti alimentati dall’intolleranza, da ideologie violente e dal negare i diritti ai più deboli. In effetti, non esistono alternative alla paziente ricerca della pace.
«Per opporsi validamente a queste pericolose derive, abbiamo bisogno che cresca la cultura della pace, la quale si nutre di una incessante disposizione al dialogo e della consapevolezza che non sussiste alternativa ragionevole alla paziente e assidua ricerca di soluzioni condivise, mediante leali e costanti negoziati». Papa Francesco è reduce dalla Giornata che ha celebrato ad Assisi il trentesimo anniversario della Preghiera per la pace, convocata da Giovanni Paolo II nel 1986. Nella terra del Francesco vissuto nel XII secolo, di fronte a leaders religiosi di spicco, Bergoglio aveva tracciato la via ai processi di pace per i prossimi anni. A Baku il papa argentino ha coinvolto i leaders politici ed amministrativi cosicchè nulla sia lasciato di intentato per giungere ad una pace stabile nella regione. L’invito è stato esplicito: il Caucaso divenga porta aperta verso la pace.
«Sono fiducioso – ha affermato Bergoglio – che, con l’aiuto di Dio e mediante la buona volontà delle parti, il Caucaso potrà essere il luogo dove, attraverso il dialogo e il negoziato, le controversie e le divergenze troveranno la loro composizione e il loro superamento, in modo che quest’area, “porta tra l’Oriente e l’Occidente”, secondo la bella immagine usata da san Giovanni Paolo II divenga anche una porta aperta verso la pace e un esempio a cui guardare per risolvere antichi e nuovi conflitti».
Papa Francesco ha poi lanciato ancora una volta un appello chiaro ai leaders sia religiosi che politici, a livello internazionale. «Mai più violenza in nome di Dio!», «nella notte dei conflitti»«le religioni siano albe di pace». Ormai Bergoglio ci ha abituato a incontri semplici ed immediati con leaders di diverse religioni, in particolare i musulmani. Lo scorso week-end, l’incontro avuto da papa Francesco nella Moschea di Heydar Aliev è stato un incontro fraterno fatto di sorrisi, scambio di doni. Era una immagine viva di «quell’armonia»in cui «le religioni insieme possono costruire»la società. Francesco ha usato espressioni come «spirito di famiglia»per evocare la concordia tra le fedi in Azerbaigian. Parla di giornata «memorabile» riferendosi all’accoglienza e l’ospitalità ricevuti. «Qui si desidera custodire il grande patrimonio delle religioni e al tempo stesso si ricerca una maggiore e feconda apertura». “Dialogo”, “multiculturalità” e “collaborazione” sono segni in questo Paese concreti che costruiscono la società in cui ha spazio anche la piccola comunità cattolica: «Aprendo le porte all’accoglienza e all’integrazione, si aprono le porte dei cuori di ciascuno e le porte della speranza per tutti».
L’auspicio del Papa è che l'Azerbaigian «porta tra l’Oriente e l’Occidente» coltivi «sempre la sua vocazione di apertura e incontro, condizioni indispensabili per costruire solidi ponti di pace e un futuro degno dell’uomo». «Aprirsi agli altri non impoverisce, ma arricchisce, perché aiuta a essere più umani»ha insistito Papa Francesco. Bisogna vedere la «vita come un dono per gli altri»- sottolinea – e non come «traguardo»per i «propri interessi». Per il Pontefice le religioni hanno il «grande compito»di «accompagnare gli uomini in cerca del senso della vita».