Dialoghi, priorità assoluta

A colloquio con Maria Voce, dopo venti mesi di presidenza e da poco rientrata da una lunga trasferta in Asia.
Maria Voce

La considera una delle più evidenti manifestazioni dell’amore di Dio. E Maria Voce l’ha confidata recentemente ai vescovi dell’Asia amici dei Focolari incontrati a Bangkok, in Thailandia: «Dopo la morte di Chiara si poteva prevedere di trovare le persone del movimento tristi, afflitte e passive. Invece lo Spirito Santo ci ha dato nuova lena».

 

Venti mesi dopo la sua elezione a presidente dove sta andando il movimento?

«Sta continuando il suo cammino verso il “che tutti siano uno” chiesto da Gesù al Padre, e mi sembra che stia prendendo sempre più coscienza che deve proseguire in questa direzione. È un mandato specifico che Chiara ha lasciato e la Chiesa ci chiede di portare avanti tutti i fronti avviati dalla fondatrice».

 

Si sente ancora in fase di rodaggio?

«Mi sentirò in fase di rodaggio sino all’ultimo momento. Ogni tanto mi prende uno spavento. “Mamma mia – mi dico – ci sono ancora quattro anni, se Dio me li darà”. Poi penso che i prossimi quattro anni saranno ricchi di tante cose e cercherò di vivere come ho provato a fare sinora».

 

Cosa è successo?

«Ho sentito una grande spinta, venuta proprio dalla reazione positiva di tutto il movimento. L’affetto che mi è stato dimostrato, il desiderio di vivere insieme con me il momento delicato del movimento mi sembrano tuttora una cosa straordinaria. Mi chiedo però: durerà per i sei anni del mandato? Se si affievolisce, dove trovo la sorgente di una nuova risorsa? E allora mi viene in mente Gesù abbandonato, il fedele per eccellenza. Lui rimane sempre come risorsa anche in futuro».

 

Due anni dalla partenza di Chiara. S’è fatta sentire la mancanza?

«La mancanza fisica, sì. Tante volte. In me e negli altri. Però allo stesso tempo costato sempre più che la vita di Chiara continua nel carisma presente in ogni persona del movimento e nelle comunità così vive e radicate. Lei non manca, è più vera la sua presenza. E lo prova anche il fatto che dicono: “È come se fosse venuta Chiara”. Non è un modo di dire, ma una realtà».

 

L’onda della novità – nuova presidenza, dirigenza centrale più internazionale, ecc. – è in buona parte acquisita e passata. Quali novità sta vedendo lei?

«Ci ha sorpresi il fatto di essere riusciti a farcela tutti insieme nel periodo successivo alla partenza di Chiara. Però adesso può diventare una routine. E allora addio smalto. Sono invece persuasa che la novità ci sia sempre, se tutto – come ho detto appena eletta – viene basato sui rapporti. Il rapporto con ciascuno o è sempre nuovo o non è autentico. Quindi sta a noi rimanere sempre nella novità. Nello stesso tempo reputo che una novità che non è il frutto di una storia sia destinata ad appassire».

 

55 giorni in Asia. Per quale ragione l’Oriente?

«Mi sono sentita spinta dallo Spirito Santo. Il motivo era dettato dal desiderio di incontrare e conoscere da vicino le comunità del movimento presenti, anche in modo consistente, nei vari Paesi. Mi sembrava che raccogliere l’eredità di Chiara Lubich significasse anche sostenere anche là l’opera da lei costruita».

 

In cosa si differenzia la sua trasferta dai viaggi della fondatrice in Giappone (1981) e in Thailandia (1997)?

«Chiara si era recata in Giappone perché invitata dal movimento laico buddhista Rissho Kosei-kai e in Thailandia dai monaci buddhisti. Quindi con un preciso scopo di dialogo interreligioso».

 

E lei?

«Io sono andata a vedere i frutti di quanto Chiara aveva seminato, incontrando un movimento in crescita. In questo quadro si sono tenuti appuntamenti sia con la Rissho Kosei-kai, sia con i monaci thailandesi, ed entrambi hanno confermato l’impegno a proseguire il cammino».

 

Come spiega queste disponibilità così piene?

«L’incontro con Chiara ha permesso la conoscenza in un’atmosfera di iniziale fiducia reciproca. Adesso la fiducia è totale, ci sono un assoluto rispetto delle identità nostra e loro e un grande desiderio di collaborare sempre più per una testimonianza comune».

 

Sembra tutto facile. Eppure i problemi tra cattolici e seguaci di altre religioni restano e, in non pochi casi, si aggravano. Cosa non va?

«Da parte nostra c’è bisogno di più amore verso di loro, più amore disinteressato. Tante volte il dialogo ha un secondo fine, magari lontano, ma loro lo percepiscono. E allora o reagiscono oppure si chiudono. Va altresì sottolineato che il dialogo di Chiara è incominciato per iniziativa di vari leader religiosi. E le persone di altre religioni con cui collaboriamo ci dicono che il nostro cristianesimo è un tipo di religiosità che non contrasta con la loro, ma che favorisce l’incontro».

 

Il dialogo, pertanto, come via privilegiata per l’Asia?

«Il dialogo è, non solo in Asia, lo stile di vita delle persone del movimento, che ha per scopo l’unità. Per arrivarci, i dialoghi e lo stile del dialogo sono la via maestra. Per di più, il dialogo noi non lo facciamo con le fedi o tra le fedi ma con le persone, a qualsiasi fede appartengano. È un dialogo della vita, che non mette a confronto gli uomini, ma fa incontrare persone di fedi diverse e le rende capaci di aprirsi reciprocamente, di trovare punti comuni e di viverli insieme».

 

Cosa si è portata via dall’Asia?

«Tante ricchezze comuni di popoli assai diversi. Prima di tutto, il loro senso del sacro, l’attenzione alla ricerca della verità, la capacità di sacrificio, la profondità nell’affrontare la vita, la serietà della loro condotta, la correttezza e la delicatezza nei rapporti. Tutte qualità che nella nostra cultura occidentale sono un po’ svanite. Non si possono vendere parole, bisogna offrire una vita realmente ancorata in Dio per saziare il desiderio di sacro».

 

Ora che è rientrata quali priorità sono al centro della sua azione?

«Dovrei rispondere: le priorità che abbiano scelto. Ma vedo i dialoghi come priorità principale in questo momento. Avverto infatti che quelle priorità decise insieme con i responsabili di tutto il mondo – formazione, giovani, focolarini – sono dentro la più vasta priorità dei dialoghi. Percepisco questi ultimi come una necessità assoluta, una priorità che penso resterà sempre. Si tratta di uno stile di dialogo che deve esserci sempre più nel movimento, che si incomincia a mettere in pratica con quelli con cui si vive e finisce all’ultima persona che s’incontra. Insomma, i dialoghi nel senso di apertura massima verso tutti».

 

È stata la trasferta in Asia a metterle tanto in cuore i dialoghi o l’ha solo sottolineati di più?

«L’Asia li ha sottolineati di più. Certamente in molti Paesi di quel continente si vede che, con una Chiesa cattolica spesso fortemente minoritaria, se non c’è apertura al dialogo non sembra aver senso restare».

 

Cosa possono adesso offrire di particolare i Focolari alla Chiesa e alla società globalizzata?

«Continuare a dare una testimonianza di unità nella diversità. È un nostro specifico contributo quello di saper contenere e comporre le differenze in una sintesi più alta che non le opprima e le valorizzi. Questo vale anche nel rapporto con gli altri movimenti, per mostrare insieme che è possibile valorizzare la voce di ciascuno, ma che nel coro è più importante la sinfonia».

 

Dopo l’Africa, l’Asia. E ora?

«Nel 2011 nell’America del Nord. Non so in quali regioni degli Stati Uniti ma sicuramente in Canada. È un Paese che ha qualcosa di suo da dire».

 

Un desiderio da svelare?

«Mi rimane nell’anima l’esigenza di tornare in Asia per recarmi in Indonesia e, in particolare, in India, un Paese che è quasi un continente».

 

 

 

Il co-presidente Faletti

 

Una famiglia ricca di vitalità

 

Con la nuova presidenza quale caratteristica sta emergendo nella guida del movimento?

«Vedo incarnarsi sempre più la consegna di Chiara Lubich: “Siate una famiglia”. Anche il viaggio in Asia ha messo in luce, pur nella varietà dei contesti culturali e religiosi in cui sono inserite le comunità dei Focolari, che l’invito della fondatrice si va progressivamente attuando. Ne eravamo certi, ma stiamo costatando che è vero. Indubbiamente, per un aiuto particolare di Chiara, che sembra voglia farci scoprire tutte le ricchezze di questa famiglia e che ci dica: “Siete solo all’inizio…”».

 

C’è stata un’esperienza particolare in questi venti mesi di co-presidenza?

«Più che particolare, costante. Quella della vitalità del movimento che mi balzava continuamente davanti e che costituiva la cornice della mia vita di unità con la presidente, cuore del mio compito».

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