Dialogando con Michele Zatta
Quand’ero piccolo, la Rai mandava in onda gli “sceneggiati”. Si chiamavano così: all’italiana. In bianco e nero, con attori che recitavano come a teatro: incutevano una certa riverenza. Si trattava per lo più di classici della letteratura: I fratelli Karamazov, Il conte di Montecristo, Madame Bovary… Storie impegnative che non vedevo, se non una puntata: un po’ per l’età, un po’ perché erano lunghe, un po’ perché in generale non vedevo la televisione.
Poi gli sceneggiati sono diventati “fiction”. E sono un’altra cosa. Il fenomeno è interessante: investe la lingua e la cultura. C’è un’offerta crescente di narrazioni, per lo più seriali. A quali bisogni corrisponde? Vogliamo essere intrattenuti, accompagnati, istruiti?
Ne parliamo con Michele Zatta, che ha un’esperienza quasi trentennale di narrazione televisiva. Co-ideatore della soap opera Un posto al sole (in onda dal 1996), è dirigente di Rai Fiction e responsabile delle coproduzioni internazionali dal 2008. Ha prodotto molte serie di successo: Non uccidere (2015), la prima stagione de La porta rossa (2017), Di padre in figlia (2017), Il cacciatore (2018), Il nome della rosa (2019), Mare fuori (2020), Gli orologi del diavolo (2020), Fino all’ultimo battito (2021), Sopravvissuti (2022), Black Out (2022), Noi siamo leggenda (2022).
Dal suo laboratorio privilegiato di “osservazione” e produzione ha seguito da vicino l’evoluzione delle narrazioni televisive e filmiche. Come sono cambiate le fiction negli ultimi 15 anni, in quanto a temi, forme e tempi del racconto?
Il dato saliente è la comparsa dei grandi streamer nel nostro mercato. Durante il lockdown molti spettatori italiani hanno seguito con interesse crescente le serie proposte da tali piattaforme. La fruizione di serie prevalentemente straniere porta (quando le serie sono di qualità) ad un arricchimento, ad una sorta di “acculturamento” che a mio giudizio è cosa buona e giusta perché alza l’asticella. Se lo spettatore diventa più esigente, allora anche lo storytelling deve evolvere e cercare nuovi linguaggi e nuove storie. La concorrenza porta ad una competizione virtuosa che ha consentito alla Rai di sperimentare e di imboccare strade completamente innovative che in alcuni casi non sono state accolte dal favore del pubblico, in altri casi si sono rivelati veri e propri trionfi. E dunque negli ultimi 15 anni tutte le fiction italiane hanno intrapreso un cammino di modernizzazione sotto ogni profilo che fa sì che oggi la serialità italiana sia ritenuta una delle più originali e coraggiose a livello mondiale.
In che percentuale le fiction sono tratte da romanzi?
Difficile dire la percentuale. Sicuramente moltissime fiction sono tratte da romanzi. Ad oggi sono probabilmente la maggior parte. Basti pensare ad alcuni titoli celeberrimi come L’amica geniale, Il nome della rosa, Mina Settembre, Il commissario Ricciardi, Rocco Schiavone, Le indagini di Lolita Lobosco e molti, molti altri. Trarre una serie da un libro di successo è più semplice, perché consente di sfruttare la popolarità dei protagonisti dei romanzi. Ma l’adattamento può celare insidie. Bisogna saper adattare la storia alle regole della narrazione televisiva. Molto spesso l’operazione riesce. Alcune volte no. A ciò va aggiunto che vari scrittori di romanzi hanno avuto la capacità di mutare in eccellenti sceneggiatori: Lucarelli, Rigosi, Manzini, Carofiglio etc. La contiguità tra romanzo e fiction è dunque molto evidente.
Quali sono gli ingredienti per una buona fiction? In che misura deve intrattenere, in che misura far riflettere, in che misura destabilizzare?
Gli ingredienti per una buona fiction… Domanda impegnativa. Innanzitutto dipende dalla tipologia delle fiction. Una soap necessita di ingredienti totalmente diversi da un procedural. Una sit-com è una pietanza completamente diversa da un melò. Se riduciamo l’analisi alle serie da prima serata, allora direi che gli ingredienti basici sono due: la verità intrinseca della storia (e dunque la coerenza psicologica dei personaggi) e l’intensità emotiva. Senza verità e senza intensità nessuna storia potrà mai giungere al nostro cuore.
Ormai le fiction televisive (così come quelle delle piattaforme) sono prevalentemente serie. A quali bisogni dello spettatore (e del mercato) rispondono le narrazioni seriali?
La narrazione seriale consente di narrare una storia con maggiore profondità. Per il semplice fatto che c’è più tempo per farlo. Intendiamoci: esistono storie perfette per il taglio cinematografico o per quello di un tv-movie (che poi quasi si equivalgono). Ma se passiamo a piani narrativi più complessi, composti da più linee di racconto e da più personaggi è chiaro che nessun tipo di narrazione può competere con quello seriale. La narrazione seriale ci fa viaggiare insieme ai protagonisti delle rispettive serie e ci consente di immedesimarci nelle loro storie. Le migliori narrazioni seriali sono quelle che ci restituiscono un valore maggiore rispetto alla preziosissima moneta che spendiamo per fruirne: il nostro tempo. Questo valore è dato da ciò che ci resta impresso nel cuore dopo aver visto una serie particolarmente coinvolgente.
Ci può anticipare qualcosa sulle prossime fiction Rai? Quali le sfide, quali i temi?
In seguito al dirompente successo di Mare fuori, continueremo a proporre serie specificamente dedicate agli young adults (giovani adulti) e tra queste un titolo di prossima uscita è Noi siamo leggenda. Non mancheranno le grandi co-produzioni internazionali della Rai legate a titoli particolarmente conosciuti come ad esempio Il conte di Montecristo o L’amica geniale. Verrà anche mantenuta una linea a cui teniamo moltissimo che è quella social. In questo ambito proporremo una serie sul caso di Elisa Claps. Non mancheranno infine i sequel delle serie più amate dal pubblico quali Mina Settembre, Le indagini di Lolita Lobosco e Il paradiso delle signore, in modo tale da avere un’offerta quanto più variegata possibile, capace di incontrare le aspettative di un pubblico quanto più eterogeneo.
Lei ha pubblicato da poco un romanzo, Forse un altro, che fa pensare a una pièce teatrale, a un film, se non a un musical. Scrivendolo aveva in mente una scena, un set? Come nasce il suo primo romanzo?
Il mio romanzo nasce molto semplicemente dall’essere stato lasciato dalla mia ragazza un giorno prima di partire assieme per le vacanze. Rimasto a Roma senza un soldo e con tutti i miei amici al mare o comunque in viaggio mi sono ritrovato la sera senza sapere cosa fare. E così ho preso una penna, un quaderno e ho iniziato a scrivere. Per 10 giorni e 10 notti non ho fatto altro. Alla fine ho riempito quasi 10 quaderni: la prima, folle versione di Forse un altro (non che l’ultima sia molto meglio…). Poi i quaderni sono stati pietosamente rinchiusi in un cassetto. Li ho ritirati fuori quando ormai scrivevo per la televisione e dunque li ho totalmente riscritti con l’intento di trarne una sceneggiatura, poi un’opera teatrale e infine sono tornato al romanzo. Ma tutte queste stratificazioni sono rimaste e in realtà ho voluto che fosse così. Perché conferiscono uno stile piuttosto unico al libro. O forse perché non so scrivere diversamente… In ogni caso mi sono portato avanti con il lavoro se il libro dovesse ridiventare un film o una commedia teatrale o forse, chissà, una serie. In ogni caso l’intento di restare impresso nel cuore del lettore c’è anche qui. Ed è – assieme a un approccio improntato all’umiltà – il motore che mi ha concesso di non fermarmi anche quando «la diritta via era smarrita»…
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1987 Prima bozza del romanzo Forse un altro
1994 Co-ideazione della soap Un posto al sole
1995 Forse un altro diventa un film che però non riesce ad andare in produzione
2008 Assunzione a Rai-fiction
2014 Forse un altro è in cartellone al Teatro Eliseo che però viene chiuso
2020 Esce la prima stagione di Mare fuori
2022 Il romanzo Forse un altro viene finalmente pubblicato da Arkadia