Di solitudine si può morire
È inutile dire che lo stato deve pensarci. Intanto potremmo cominciare a pensarci noi, ognuno di noi. A chi, a che cosa? Agli anziani, ai loro problemi, ai loro bisogni. Per non trovarci ancora sul banco degli imputati con l’accusa di concorso in omicidio. Perché è facile dire che la morte per il caldo di migliaia di anziani poteva essere evitata se avessero funzionato i servizi sociali, se l’assistenza fosse stata garantita, se” Ed è vero in molti casi. Ma sicuramente avrebbe anche potuto essere evitata se avesse funzionato la nostra coscienza sociale, quella che ciascuno di noi ha e che ci rende interdipendenti gli uni dagli altri. Perché è proprio vero che lo siamo e a tutti i livelli: fra categorie come fra generazioni. Le stime dicono che in Italia ci sono stati 5 mila morti e che in genere sono più numerosi nelle grandi città e più al nord che al sud. Dato questo che agli esperti ha fatto trarre alcune conclusioni tra cui una di rilievo: dove ha prevalso la solitudine la morte ha trovato la porta spalancata, dove invece gli anziani erano protetti da un nucleo familiare o comunque non vivevano isolati in nome di una fantomatica “privacy” la situazione è stata meglio fronteggiata. Abbiamo vissuto questa che è stata definita un’emergenza in contemporanea coi nostri amici d’oltralpe (14 mila le vittime in Francia), ma anche in Spagna sembra ce ne siano state 2.000, 1300 in Portogallo, un migliaio in Olanda e anche in Gran Bretagna. Un bilancio reso ancora più doloroso dal mancato reclamo dei parenti di tanti di questi morti che sono stati raggiunti dalla polizia solo dopo lunghe ricerche. E che comunque non ha impedito per esempio che 66 anziani in Francia fossero sepolti in solitudine, come erano morti e come forse avevano vissuto. Per loro non si è presentato nessuno, neanche al cimitero. Tutto questo non può passare inosservato o finire in archivio perché il caldo non c’è più. I quaranta gradi ci hanno lasciato, ma forse che di solitudine non continuano a morire altre persone durante tutto l’anno? Una lezione avremmo dovuto impararla da queste vicissitudini. La convivenza sociale è tutta da impostare e non solo perché domani potrebbe toccare a noi di diventare anziani ma perché nel corpo sociale, come in quello umano, quando non funziona un organo è tutto il corpo che sta male. E non è che agli anziani vada solo garantita l’assistenza. Va riconosciuta una valenza umana che valorizzi il maggior tempo che hanno a disposizione, l’esperienza degli anni, la capacità di guardare alla vita da un’altra prospettiva. Va assicurata poi una qualità della vita che cammini di pari passo con il prolungarsi delle aspettative di vita stessa. Il che è possibile, come ci spiega la dott.ssa Flavia Caretta, specialista in Geriatria e Gerontologia presso il Policlinico Gemelli di Roma. Dott.ssa Caretta ci sono negli anziani delle risorse che potrebbero essere valorizzate meglio e di più? “Sicuramente. Se infatti è naturale che si riduca il meccanismo di controllo per mezzo del quale viene mantenuto il normale equilibrio dinamico tra tutte le funzioni fondamentali dell’organismo, è anche vero che esiste però la possibilità di mettere in atto degli adattamenti positivi che permettono di far fronte a questa fragilità. Alcuni studiosi sostengono che la memoria, ad esempio, inizia a diminuire quando una persona cessa di usare i metodi utilizzati in passato per ricordare meglio: l’abilità non sfruttata viene perduta. Viceversa, il tenere sempre in esercizio la memoria, permette di mantenere attive, impedendo o ritardandone il decadimento, anche le funzioni psichiche e la loro base biologica, il cervello. Un fenomeno che vale per tutte le funzioni. Ora, se le persone anziane tendono a vivere in un ambiente che non domanda, con pochi stimoli, tutte le loro risorse rimangono non sfruttate, mentre sollecitazioni mentali, sociali, psicologiche, spirituali, possono avere l’effetto di attivare queste riserve latenti. Inoltre, studi recenti tendono a dimostrare che l’altruismo sembra promuovere la salute e la longevità. Adoperarsi per aiutare l’altro risulta essere un bene anche per sé stessi”. Morti di caldo ma anche di solitudine si è detto a proposito degli anziani vittime di quest’estate. Quanto possono incidere le relazioni umane sulla qualità della vita, al di là dell’evidente aspetto concreto di avere qualcuno a cui chiedere aiuto o assistenza? “Direi che la qualità della vita prima di tutto è correlata al contesto familiare nel quale la persona è inserita: l’influenza dei rapporti familiari è ovviamente presente lungo tutto il ciclo di vita, ma risulta certamente esaltata nelle età estreme, cioè durante la fase giovanile e in quella anziana. Ma ancora, la tessitura delle varie relazioni sociali, la loro densità, costituiscono uno degli aspetti più rilevanti nella vita dell’anziano, in grado di condizionarne non solo la qualità, ma anche lo stato di salute e la sopravvivenza. I legami e le relazioni sociali quindi hanno un ruolo protettivo nei confronti della salute dell’anziano; un basso livello di interazioni aumenta il rischio di mortalità. Si tratta di dati dimostrati anche scientificamente “. Quale può essere la peculiarità di quest’età della vita di una persona? “Generalmente, nell’anzianità vi è un affinarsi dell’esperienza interiore, facilitata dall’acquisizione della caducità di molti valori propri dell’età giovanile, come se si proponesse una potatura dei vissuti per esaltare ciò che è essenziale e togliere il superfluo. Anche chi condivide questi momenti è aiutato a semplificare la propria vita. A volte si corre, presi dal vortice della vita con i suoi ritmi, le sue scadenze; in questa circostanza si impara a ridimensionare. Si continua a fare, certo, ma radicati nell’essenziale “. Di esperimenti in corso ce ne sono, tesi al dono reciproco delle proprie ricchezze. E se la denatalità del nostro paese non può assicurarci che per ogni nonno ci sia un nipote, è anche vero che la famiglia umana è più grande di quella naturale. Basta aprire gli occhi e” “adottarsi” reciprocamente. IL CASO FRANCESE Al telefono con Alain Boudre, caporedattore di “Nouvelle Cité”: “Se impariamo la lezione potrà venirne fuori del positivo”. Qui in Italia si è parlato molto anche della torrida estate francese che ha causato migliaia di morti. Cosa è successo realmente? “Secondo le statistiche ufficiali, quasi 14 mila persone, anziane in maggior parte ma non solo, sono morte a causa del caldo eccessivo. Temperature così alte e per così lungo tempo, non venivano rilevate in Francia, soprattutto nella regione parigina, da un secolo, dunque non c’era nessuna esperienza. Stando alle inchieste svolte gli aspetti che hanno determinato una tale situazione sono due, diversissimi ma ambedue molto importanti. Il primo è che le strutture non erano pronte, da una parte perché nei mesi di luglio e agosto vanno tutti in vacanza, anche i medici, e non era stata attivata nessuna cellula di urgenza. D’altra parte il governo ha risparmiato su questo tipo di spesa e non aveva mai considerato questo problema sanitario fra le urgenze possibili. “L’altro è un aspetto umano nel senso che questo problema è stato un rivelatore di una frattura sociale, non tanto tra poveri e ricchi, quanto fra le generazioni. Il fatto è che gli anziani sono persone che non vanno sulle strade a dimostrare per dire che non va bene per cui nessuno li ha ascoltati nei loro bisogni, sono rimasti esclusi. Ma il problema dell’esclusione sociale lo vediamo anche nei riguardi dei poveri, dei senzatetto, degli ammalati. . . “. Come è stato valutato quanto è successo? “La lezione che ne viene fuori è che manca la solidarietà e manca sia per il nostro modo di vivere, sia perché la famiglia si è sciolta. Uno dei risultati è che gli anziani sono stati messi da parte. Andando in giro per le strade possiamo ancora scorgere alcuni manifesti pubblicitari di un’associazione, “Petits frères des pauvres” (Piccoli fratelli dei poveri), che ogni anno durante l’estate lancia appelli a coinvolgere tutta la popolazione nel dare un po’ di tempo perché gli anziani non rimangano da soli. “Ci siamo accorti che la responsabilità è doppia: da parte del governo (non solo quello attuale), dei politici in genere ma anche di noi tutti. Questa è una presa di coscienza che non sappiamo a cosa porterà. È sicuramente positivo il fatto che adesso se ne parli di più”. Ma l’anziano nella società francese come viene considerato? “Dipende dalla struttura della famiglia. Dove c’è quella del tipo diciamo tradizionale allora gli anziani vengono curati. Anche se non vengono presi in casa c’è una relazione con loro. Nelle grandi città gli anziani sono messi in una casa speciale e sono lasciati nelle mani di una struttura che non sempre è valida. Ma soprattutto viene a mancare ogni legame sociale. Non si tratta quindi tanto della struttura ma di un modo di vivere che sia più umano. “Questo argomento viene sempre più in rilievo perché domani saremo noi gli anziani, visto che la nostra è una popolazione che va invecchiando e che tra dieci anni ci saranno in Francia più persone anziane che persone che lavorano. Dunque è stato un fenomeno rivelatore, doloroso, ma, se ne impariamo la lezione, potrà venirne fuori del positivo”.