Di qua e di là dal vetro

Sette del mattino. L’ora in cui sulla via Ostiense il traffico è molto sostenuto, e tutti hanno fretta di arrivare. Non è facile mantenere la calma davanti a chi, dall’altra parte del finestrino, ti propone al semaforo un piccolo servizio in cambio di qualche moneta. Andrea e Ines Spinelli, che quotidianamente la percorrono per raggiungere la società dove lavorano, notano allo stesso semaforo un giovane, che con molta gentilezza offre di pulire i vetri della loro macchina. Per giorni, quando passano, si scambiano un sorriso ed un veloce saluto con la mano. Finché una mattina dal finestrino aperto consegna loro una lettera. “Solo poche parole in un italiano approssimativo – racconta Ines -: dice di chiamarsi Amdad, di venire dal Bangladesh e di trovarsi in Italia da tre mesi. Non conosce nessuno e cerca lavoro”. Qualche giorno dopo, un po’ in italiano ed un po’ in inglese, racconta di avere una laurea in Economia e commercio, e che sino a tre mesi prima lavorava presso una società farmaceutica. Credeva di essersi lasciato dietro le spalle un’esistenza grama, in un paese come il suo, in cui l’80 per cento delle famiglie vive al di sotto della soglia di povertà. Tutto sembrava andare per il meglio, quando era riemerso tra le carte della polizia il suo nome, che era stato segnalato anni prima nel corso di una manifestazione di studenti. Per paura di subire un processo, aveva deciso di emigrare, come del resto avevano già fatto alcuni suoi compagni di università. Lui era riuscito ad ottenere un visto turistico per l’Italia. I coniugi Spinelli prendono a cuore la situazione del giovane. In occasione di una festa, gli regalano un dizionario e alcune cassette perché possa esercitarsi nella lingua italiana. Lo invitano, quando si presenta l’occasione, a prendere una pizza insieme ad altri amici. Il giovane ricambia con piccoli doni, magari costruiti da lui e decorati con i disegni stilizzati tipici della sua terra. Col passare del tempo, cresce e si rafforza un rapporto d’amicizia sincera e disinteressata, un apprezzamento profondo per questo giovane che si sa accontentare di poco e che allo stesso tempo si dimostra così generoso, fiducioso, mai triste. “Era molto legato alla sua terra ed ai suoi – dice Ines -. Ma quanto per lui fosse importante la famiglia, lo abbiamo potuto appurare quando è nata Serena, la nostra prima bambina. Amdad ha portato in dono un taglio di seta molto preziosa, assieme alle lettere di auguri dei suoi quattro fratelli e dei numerosi nipoti”. Con l’aiuto degli amici italiani, trova un primo lavoro presso un medico, che gli offre alcune ore per le pulizie, e con ciò la possibilità di avere un regolare permesso di soggiorno. “All’inizio – spiega Amdad – non è stato facile, perché, essendo un uomo e senza referenze, dopo un primo colloquio le persone interessate ci ripensavano. Ora lavoro in un supermercato, ed il mio turno, che inizia molto presto, mi lascia parecchie ore libere, che mi permettono di dedicarmi all’attività che mi è più congeniale: la scrittura”. Noto infatti, tra le mani insospettabili di questo dottore in economia, uomo di fatica in un mercato all’ingrosso, un voluminoso dossier di pagine tutte scritte a mano con una grafia molto regolare. Sono poesie, racconti brevi, capitoli di memorie autobiografiche, scritte in un italiano impeccabile. “Sì – dice Amdad -, mi è sempre piaciuto scrivere, in inglese o nella mia lingua, il bengali. Ora in italiano. È stato a causa di un’opera teatrale composta negli anni dell’università che il mio nome è comparso nel libro nero della polizia”. Sono passati dieci anni da quei primi incontri all’Ostiense. Amdad, che è appena tornato dal Bangladesh, parla volentieri dei suoi fratelli e dei nipoti che nel frattempo sono nati e che ha potuto finalmente conoscere. “Abitano tutti in un villaggio non molto distante dalla capitale. Mio fratello insegna, mentre gli altri due sono commercianti. Mio padre per poterci mantenere aveva un doppio lavoro, ma ugualmente volle mandarci a scuola anche se con grandi sacrifici. Non riuscivamo mai ad avere un regalo per ciascuno, e questo era causa di litigi tra noi fratelli. Ma la mamma sapeva portare la pace tra noi, che in fondo ci volevamo molto bene”. Parla anche di questi anni trascorsi in Italia, “in cui – dice – ho provato ad apprezzare ed assaporare tante cose che non conoscevo, prima di tutte la libertà”. Parla con grande affetto degli amici italiani. “Mi sono stati vicini in un momento molto doloroso. Era l’inizio di agosto di due anni fa, quando venni ricoverato d’urgenza all’ospedale per forti dolori ed un rigonfiamento all’addome. Non avevo nessuno, e chiamai Ines ed Andrea, che non solo vennero subito a trovarmi, ma dopo seppi che avevano rinunciato a parte delle loro vacanze per starmi vicino”. La malattia era grave: una forma di tbc virale, per fortuna non infettiva. “Amdad – dice Ines – viveva la malattia con paura, e la interpretava come una punizione divina. “Perché proprio a me che non ho fatto del male a nessuno?”, continuava a ripeterci. Io ascoltavo in silenzio i suoi sfoghi. Gli portavo i disegni dei bambini e gli raccontavo come loro ogni sera pregavano per la sua guarigione “. Ora Amdad, pienamente ristabilito, fa progetti per il futuro. Spera di potersi iscrivere all’università di Tor Vergata, e di continuare a scrivere. “Ma tutto questo – dice – non l’avei potuto fare senza l’aiuto dei miei amici italiani”.

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