Di qua e al di là del muro

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Nessuna teoria, ma una storia di vita capace di far germogliare, nel cuore del conflitto, la riconciliazione tra due popoli. La pace declinata in termini di perdono e di riconoscimento del dolore dell’altro. Un progetto nato da persone che nel clima degli omicidi mirati, del terrorismo palestinese e delle rappresaglie israeliane hanno saputo scommettere sulla pacificazione. Anticipando i tempi. Questa la singolarità di Saving Children, che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha recentemente scoperto: un’esperienza di medicina per la pace, unica nello scenario mondiale. Ne hanno parlato all’Onu il 10 febbraio scorso gli artefici del progetto: Dan Shanit, direttore del Dipartimento di Medicina del Centro Peres di Tel Aviv, Anward Dudin, presidente della Società pediatrica palestinese, Emanuela Dviri, giornalista, Massimo Toschi della Regione Toscana. Anche a New York, in occasione del prestigioso invito, i quattro hanno voluto precisare con forza che i protagonisti non sono loro, ma i bambini. Ho potuto raccogliere l’eccezionale racconto direttamente da uno dei non protagonisti: Massimo Toschi, Consigliere del presidente della Regione Toscana per la pace, la cooperazione e i diritti umani, una delle voci italiane più autorevoli della riflessione culturale sul tema della pace. Partiamo dal conflitto israelo-palestinese: iniziato nel settembre del 2000, ha prodotto in quattro anni quattromila morti, di cui tremila palestinesi e mille israeliani. Ma in questo conto – precisa Toschi – non sono compresi le centinaia di bambini palestinesi che sono morti sempli- cemente perché nessuno è stato in grado di curarli a causa del conflitto e del deteriorarsi delle strutture sanitarie palestinesi. Questi bambini sono le vittime invisibili del conflitto, di cui nessuno parla. Il progetto Saving Children, firmato il 17 novembre 2003 dal Centro Peres per la Pace, dalla Regione Toscana e dall’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze, nasce dalla volontà di rispondere al dramma delle mamme palestinesi che vedono morire i loro figli per mancanza di cure, nel disinteresse e nel silenzio di molti. Mette insieme medici palestinesi e israeliani: gli ospedali israeliani, che con la Regione Toscana partecipano al pagamento delle cure attraverso il meccanismo degli sconti; il Centro Peres, che con la logistica ha permesso in tempo reale di far arrivare i bambini palestinesi negli ospedali israeliani anche quando le città palestinesi si sono trovate sotto occupazione con i chek point chiusi. I medici della Società Pediatrica Palestinese scelgono i bambini da curare, seguendo il criterio della gravità e della impossibilità oggettiva di cure negli ospedali di Palestina. Persino il muro costruito dagli israeliani non ha mai impedito a un bambino palestinese di raggiungere gli ospedali di Gerusalemme, Haifa o Tel Aviv. Anzi, con il loro inerme passare avanti e indietro i piccoli hanno cominciato a sgretolare il muro più sottile e devastante: quello dell’inimicizia, della diffidenza e della paura. La previsione di trecento bambini palestinesi all’anno per tre anni era un numero impossibile, una speranza più che una possibilità. Alla fine del primo anno ne sono stati curati 750: due volte e mezzo il numero iniziale. Come si spiega un risultato così dirompente? Sicuramente con l’accresciuta disponibilità economica per l’allargamento della rete dei sostenitori: alla Toscana si sono uniti la Regione Emilia, l’Umbria e la Calabria e la Fondazione Monte dei Paschi. Con l’eccezionale impegno di tutti. Ma c’è una spiegazione più profonda: Non è un progetto nato a tavolino – spiega Toschi -. Ha origine nella drammatica domanda di vita che questi bambini e le loro mamme ponevano a tutti con il loro silenzio e il loro dolore. E cosa è successo sulla strada della riconciliazione? Le famiglie palestinesi, che solitamente identificano gli israeliani come quelli che portano i soldati e i carri armati, ora conoscono anche israeliani che si occupano di loro e curano i loro figli. Con in più il riconoscimento del dolore dell’altro. Forse per la prima volta gli israeliani hanno colto davvero, non in astratto ma nel concreto della vita delle mamme e dei bambini palestinesi, la loro sofferenza che viene da lontano. Ma anche le mamme palestinesi hanno visto il patire delle mamme israeliane per i loro figli. Senza divisioni, senza protezioni, in una nudità del dolore che tutti accomuna. Massimo Toschi, che ha visitato più volte gli ospedali israeliani, non esita ad usare un termine insolito per una figura istituzionale: il miracolo. Ma non è un’esagerazione? Il vero miracolo sta nel fatto che curando dei bambini si comincia a guarire dall’odio. In questa progressiva presa di coscienza gli uni degli altri sta il segreto di un futuro di pace tra i due popoli. Quando abbiamo sentito dire alla mamma di Anram, una bambina palestinese di Tulkarem, che un conto erano gli israeliani che gli avevano distrutto la casa, e un conto erano gli israeliani che le avevano curato la figlia, abbiamo capito che in quella distinzione abitava lo spazio della pace e di una nuova possibile convivenza. Mi resta ancora una domanda. Ho sentito infatti definire Saving Children come un progetto di grande politica: ma si tratta di fare politica o di salvare i bambini? Quando la guerra diventa la dominante culturale – risponde Toschi -, sono necessari progetti di riconciliazione e di perdono. Questo progetto ha tali caratteristiche, per questo è massimamente politico. Mi diceva il presidente Abu Mazen, il 27 dicembre scorso, che quando si realizzano cose come queste significa che anche la politica è pronta a cambiare. È quello che sta avvenendo: donare la salute ai bambini palestinesi ha significato lavorare concretamente per la pace di tutti, palestinesi e israeliani. Quando muore un bambino a Baghdad, a Gaza, a Tel Aviv, a Pristina, nel Centro Africa e a causa della guerra, della mancanza di medicinali, della fame o della sete, questa è la sconfitta più drammatica della politica. Il bambino guarito dalla guerra, dalla fame, diventerà, al di là della sua consapevolezza soggettiva, ambasciatore di pace. Se oggi tutti possono fare la guerra, è vero anche il contrario: tutti possono fare la pace. Se un paese accetta di dare in cura i suoi figli o di essere aiutato a curarli, già un dialogo inizia. Inizia per davvero il partenariato della pace. I nemici dell’infanzia Ogni anno undici milioni di bambini muoiono prima di arrivare ai cinque anni. Nelle guerre degli ultimi dieci anni, su cento morti, da sette a dieci sono militari, ma 90 sono civili di cui 34 i bambini. Ogni giorno oltre 550 bambini sono uccisi a causa delle guerre e del terrorismo. Senza dimenticare la tragedia dei bambini soldato, al tempo stesso vittime e carnefici di guerre. Rimane comunque la miseria il più terribile nemico dell’infanzia. Un bambino su quattro vive in condizioni di povertà estrema, all’interno di famiglie che dispongono di un solo dollaro al giorno per sfamarlo. Il 18 per cento dei bambini non ha accesso all’acqua potabile, il 32 per cento di essi è malnutrito. Il progetto Saving children Dal novembre del 2003 ad oggi, 1000 bambini palestinesi hanno potuto essere curati in strutture sanitarie israeliane. Il 30 per cento di questi si è sottoposto ad operazioni a cuore aperto. Il progetto vede impegnati la Regione Toscana, il Centro Peres di Tel Aviv, i pediatri palestinesi e l’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze.Saving children consente di accogliere i piccoli palestinesi in strutture israeliane adeguate per la cura e la riabilitazione di importanti patologie. L’accordo prevede un intervento triennale da parte della Regione di 400 mila euro l’anno, per un totale di 1,2 milioni di euro. Gli ospedali israeliani coinvolti si impegnano a loro volta a ridurre le tariffe per l’ospedalizzazione dei bambini palestinesi fino al 50 per cento. Un comitato di quindici medici palestinesi seleziona i casi, che attraverso il Centro Peres vengono inviati agli ospedali israeliani che aderiscono al progetto: l’ospedale di Tel Aviv, l’ospedale Rambam di Haifa, l’ospedale di Hadassa a Gerusalemme. Vengono inoltre realizzati corsi di formazione per il personale sanitario palestinese presso gli ospedali israeliani e conferenze annuali su problemi sanitari emergenti in ambito pediatrico a cui partecipano medici israeliani, palestinesi e toscani, a cura dell’Ospedale Meyer. Il terzo convegno scientifico, tenutosi a Firenze nello scorso novembre, ha avuto per argomenti il trapianto di midollo osseo e le ultime raffinate tecniche di neurochirurgia. Nel dicembre 2003, sul Mar Morto, la prima tappa di questo percorso di formazione: i pediatri dei tre paesi si confrontano su gastroenterologia, cardiologia, neurologia e malattie respiratorie. La successiva conferenza a Nazareth, per l’aggiornamento sulla pediatria d’urgenza. Ora l’obiettivo è quello di poter offrire cure e trattamenti a 1000 bambini l’anno a partire dal 2005, e includere le cure del cancro. Partendo dalla cura dei bambini palestinesi – ha affermato il presidente della Regione Toscana Claudio Martini – ci siamo messi al servizio di una guarigione più grande, quella dall’odio .

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