Di nuovo le pentole in strada

Le gente è scesa in strada numerosa nelle più importanti città del Paese. Lo stile di governo è messo in discussione, mentre dilagano clientelismo e corruzione. Manifestazioni anche in Italia
Protesta in Argentina
In Argentina la pentola è diventata un simbolo della protesta. È stato anche coniato un termine: caceroleo (in spagnolo pentolata). La sera dell'otto novembre le pentole sono tornate in scena nelle maggiori città del Paese, cominciando dalla capitale, Buenos Aires, per protestare in generale contro la politica del governo. Anche in Italia davanti all'ambasciata argentina di Roma, in diverse centinaia hanno manifestato contro le misure della Kirchner. Le stime sulle cifre sono difficili, ma si considera che solo a Buenos Aires circa 700 mila persone, di tutte le età, siano scese in strada percuotendo rumorosamente pentole e coperchi. Per convocare la gente a questa seconda manifestazione, abbondantamente superiore in numero alla prima avvenuta lo scorso 13 settembre, sono state utilizzate le reti sociali. Sebbene i settori dell’opposizione abbiano appoggiato la protesta, questa ha conservato aspetti evidenziati a settembre: non ci sono stati oratori, né esistono portavoci e rappresentanti, non c’era un unico punto di concentrazione, la gente si è raccolta negli incroci più importanti, le motivazioni della protesta erano varie. 

Una era la galoppante inflazione. È una preoccupazione del governo che però formalmente si ostina a negarla. L’istituto di statistica sostiene che è al di sotto del 10 per cento, ma nessun sondaggio privato le assegna meno del 20 per cento, con punte fino al 24. Forse la maggiore protesta si focalizza precisamente nella persistentenegazione del problema. Un altro punto era la delinquenza. Sebbene non si raggiungono i livelli preoccupanti di altre megalopoli (a San Paolo in Brasile 160 morti solo nel mese di ottobre), il problema è crescente e la percezione della gente del fenomeno è corretta: non si avverte una politica chiara e coerente, con forze di sicurezza poco affidabili e macchiate da una dilagante corruzione. La corruzione era un altro dei temi della protesta. La gestione dei servizi pubblici ha mostrato un preoccupante livello di clientelismo e di corruzione. Lo scandalo del sistema ferroviario, dove i sussidi pubblici sono stati deviati nelle casse dell’azienda privata titolare della concessione, è scoppiato con un deragliamento che ha provocato a febbraio 51 morti per assoluta mancanza di manutenzione: i treni sono potenziali bare che si muovono su rotaie. Non si nota una reazione immediata del governo nei confronti di funzionari accusati di corruzione.
 

Un chiaro “no” della protesta di ieri era poi diretto a due questioni più strettamente politiche: no a un possibile terzo periodo presidenziale di Cristina Fernandez de Kirchner. Per ottenerlo sarebbe necessaria una riforma costituzionale, dato che il testo attuale solo permette un secondo mandato (la presidente è stata rieletta l’anno scorso). Sebbene non sia stato presentato un progetto di riforma costituzionale né sia stata formalizzata una intenzione del genere, é vero che da mesi vari legislatori della maggioranza hanno alluso a tale intenzione. In questi giorni nel Parlamento i legislatori dell’opposizione hanno assunto l’impegno formale di non permettere le maggioranze speciali necessarie per una riforma costituzionale.
 

L’altro tema politico era il no alle pressioni politiche sulla magistratura. Esiste uno scontro durissimo nel quale il governo sta usando tutti i mezzi a disposizione per ottenere che il tribunale, attualmente vacante, che deve decidere su un importante aspetto della legge su media che stabilisce importanti limiti alla loro concentrazione sia condotto da un giudice affine alle sue posizioni. Le ricusazioni si susseguono una dietro l’altra. L’obiettivo del governo è colpire un grupo multimedia (Clarín) oggi trasformatosi forse nel più duro oppositore del governo. La legge stabilisce che nel giro di un anno il Gruppo Clarin dovrà disfarsi di parte delle 240 licenze ottenute in questi anni con la connivenza dei poteri pubblici e che ne fanno un gruppo concentrato con un grande potere mediatico, spesso semimonopolico. Ma le pressioni sulla giustizia hanno raggiunto livelli che confermano una preoccupante assenza di una giustizia indipendente.
 

Tra le file del governo si continua a minimizzare il fenomeno di questa protesta, accentuandone gli aspetti più deboli: l’assenza di un messaggio chiaro e univoco, l’assenza di una rappresentatività organica. Tra le file dell’opposizione si guarda invece con simpatia alla protesta, ma forse senza avvertire che ancora una volta altri attori e non i partiti stanno esercitato in modo più efficace il ruolo di oppositori. In questo caso è la protesta popolare, in altri casi sono i media come il Gruppo Clarin.
 

In realtà il governo ha nelle sue mani la possibilità di disattivare questo fenomeno, soprattutto modificando i toni del messaggio politico, spesso duro, poco disponibile al dialogo, semmai propenso a un clima di scontro politico che ha raggiunto livelli preoccupanti. Ammettere poi l’esistenza dell’inflazione e una lotta decisa contro la corruzione sarebbero di per se tre aspetti chiave che potrebbero modificare l’immagine di inscalfibile ostinazione, incapace spesso di ammettere anche gli errori più evidenti di gestione. La domanda è se Cristina Fernández de Kirchner saprà ascoltare “questa” voce della gente. L’aggettivo dimostrativo è necessario, perché va pure detto che altre voci, di giustizia e di inclusione sociale, di difesa dei meno beneficiati dall’economia, sono state ascoltate anche se con una azione più quantitativa che qualitativa. Ma in politica come nella vita il modo in si fanno le cose è spesso importante quasi quanto le stesse cose che si fanno.

 

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