Di che muore un nichilista

A proposito di un grande libro di Cormac McCarthy, "Sunset Limited". La disperazione chiama Dio.
Di che muore un nichilista

La cultura e il costume occidentali sono alla frutta, nella misura in cui vogliono relegare Dio tra le ipotesi private, e le individuali filosofie tra tutte le equivalenze-indifferenze del mondo. Resta il futuro tecnologico, ma un futuro solo tecnologico è una barzelletta amara, che non fa ridere, come sapeva Leopardi 200 anni fa definendo “stolta” la società che, volendo solo l’utile, non si accorge che in tal modo la vita diventa sempre più inutile (bellissima torsione semantica dall’economico all’etico).

Ormai lo dicono in tanti, e nel miglior modo Giuseppe M. Zanghì in Notte della cultura europea, un libretto che non mi stanco di raccomandare. È proprio inutile, invece, raccomandare con pubblicità sugli autobus di non credere in Dio e godersi la vita: se l’uomo vuole vivere di solo pane sprofonda nell’abiezione e/o nella morte.

A ricordarcelo viene ora un piccolo grande «romanzo in forma drammatica» di Cormac McCarthy intitolato Sunset Limited (Einaudi), nome di un treno veloce, che mentre lo leggevo mi ha fatto pensare, dopo venti anni di scoramento, ecco uno scrittore da Nobel (se non fossero vent’anni, appunto, che a Stoccolma premiano a caso).

Finora, tranne che in Kafka, troppo grande per non essere pur disperatamente religioso, avevamo avuto nichilismi di varia lega: tetri, ridanciani, frou-frou, catatonici, sovraeccitati, ironico-drammatici (da Beckett a Ionesco passando per Sartre), ma tutti discutibili e in certa misura negoziabili: lo stesso Leopardi, nel mirabile Dialogo di Plotino e di Porfirio, allontana la soluzione suicidio con un’istanza altamente religiosa (non è giusto togliersi ciò che non ci si è dati) e con l’appello a un «senso dell’animo» che è solidarietà e, in definitiva, carità.

 

Qui invece siamo al nero su nero, come direbbe Sciascia. Un professore bianco dialoga per 120 pagine con un nero ignorante e intelligente che lo ha salvato impedendogli di gettarsi sotto il Sunset Limited. Non gli è grato per niente, vorrebbe sdebitarsi con qualche dollaro per poi correre a suicidarsi di nuovo, come alla fine farà. Il nero lo stuzzica e lo provoca in tutti i modi per salvarlo da sé stesso. Ma il nichilismo compiuto è un affare serio, perché ti fa nemico di te stesso, e allora non puoi neppure dire “si salvi chi può”.

«Nero – Allora, professore, cosa devo fare con te? – Bianco – Perché dovrebbe fare qualcosa?».

In queste due prime battute, con un gioco tra il lei e il tu che nel bianco durerà per tutto il dialogo, non c’è solo l’intero libro ma, direi, gli interi ultimi due secoli e mezzo dell’Occidente, dal materialismo razionalista dell’Illuminismo in poi.

Il bianco non vede relazioni di significato tra i fatti – anche tra il suo tentativo di suicidio e il salvataggio – e così vuole distruggere la scelta morale del nero; per il quale invece il suicida è “suo fratello” perché Gesù stesso gli ha “detto” di salvarlo. Il nero non è uno stinco di santo: già in carcere per omicidio, ha quasi ammazzato e reso invalido un uomo che lo provocava, ma poi, anche lui mezzo morto in ospedale, si è sentito dire dentro: «Se non fosse per la grazia del Signore, non saresti qui».

Il bianco non capisce perché il nero, pur accettando che lui, bianco, non crede in Dio, non voglia che si ammazzi, «perché lui ha detto di no. Sta scritto qui», dice toccando la Bibbia. Allora viene fuori il pessimismo cosmico del bianco: la felicità è «contraria alla condizione umana», il mondo è una macchina di dolore, malattia e morte che a caso sceglie e condanna continuamente degli innocenti (la negazione del peccato e del valore della sofferenza è l’errore capitale dell’Illuminismo).

Il nero gli ribatte che tutti, ubriaconi criminali e santi, vogliono essere amati da Dio. Il bianco dice che lui non vuole, e sottilizza concettualmente, tanto che il nero lo accusa di essere un… teologo, e poi gli spiega che la vita eterna può essere qui, ora, se si riesce a perdonare qualcuno (sottinteso: anche sé stessi). Ovviamente il bianco replica: «Io non ragiono secondo questi parametri».

 

Il guaio vero è che il bianco non riesce a mollare il suo «tesoro geloso» (vedi Filippesi 2,6) di razionalismo nichilistico: non riesce a diventare povero di sé stesso e, più a fondo, detestando il prossimo, non fa altro che detestare sé stesso, e lo sa e lo ammette. «Se avessi il tuo cervello», motteggia il nero, «girerei in Rolls Royce».

Ma il cervello da solo non salva, anzi divora sé stesso. Il bianco non ama perché non si ama, il nero lo capisce bene e sente sfuggirgli la partita perché il bianco rifiuta di mettersi alla pari con gli altri e non vede «quella cosa eterna» che aiuta la gente a vivere, lo sappia o no, ci creda o no, ogni giorno, e che è «essere Gesù».

«Io credo», replica il povero intellettuale bianco, «nell’egemonia dell’intelletto», e il nero gli dice che allora è «in un mare di guai», e che «non si tratta di essere virtuosi. Si tratta di stare zitti». Ma il bianco insiste e si contraddice, parla di pazzia lui che ha escluso ogni senso in ogni cosa. «Be’», commenta il nero, «questo è il caso di egemonia più serio che ho mai sentito (…). La luce è tutto intorno a te, sennonché tu non vedi nient’altro che ombra. E l’ombra è la tua. Sei tu che la fai». E spiega: «Bisogna amare i propri fratelli, altrimenti si muore».

Ma il bianco intona il canto più tragico possibile: «L’unica cosa che non voglio mollare è l’idea di mollare… Io prego che arrivi la morte. La morte vera… Tormenti, tradimenti, lutti, sofferenza, dolore, vecchiaia, umiliazione, malattie orrende e lunghissime… E lei mi viene a dire che nel mio fratello sta la mia salvezza? La mia salvezza? Be’, allora lo maledico… Io sono un professore delle tenebre… Lo so cosa mi aspetta e chi mi aspetta. Non vedo l’ora di strofinare il naso contro la sua guancia ossuta» (Shakespeare farebbe chapeau).

Il nero resta solo a intonare dondolandosi una sorta di nenia funebre e sacra rivolta a Dio: «Non fa niente. Non fa niente. Anche se non mi parli più, lo sai che mantengo la tua parola. Lo sai. Lo sai che sono capace».

Un libro splendido, comico-drammatico fino al tragico più infernale, là dove il bianco è certo di trovare il nulla e il nero scorge il Crocifisso.
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