I destini del mondo maturano nelle periferie
Primo Mazzolari (1890-1959) e Lorenzo Milani (1923-1967) hanno terminato i loro giorni terreni in un’Italia non ancora colonizzata dalla televisione e dai centri commerciali. Le concezioni del mondo erano molto forti, la politica non marketing ma una fede granitica. La loro Chiesa era ancora lontana dagli scossoni post Concilio Vaticano II svoltosi, tra attese e timori, dal 1962 al 1965.
Diversi per carattere, formazione e storie familiari, questi due preti hanno abitato luoghi marginali, lontani da ogni potere. Una sperduta canonica sui monti del Mugello, in provincia di Firenze, e una parrocchia di campagna di neanche 5 mila abitanti nella bassa mantovana. Eppure «i destini del mondo si maturano in periferia», come ha detto Francesco citando letteralmente don Primo, che ci ha lasciato moltissimi scritti. Alcune foto lo ritraggono sormontato da libri e pubblicazioni. Tasselli apparentemente disordinati di una ricerca che nasce dalla vita, dalle domande concrete dei suoi tanti interlocutori. Dai socialisti e anarchici, che affrontava in pubblici dibattiti, agli allievi, come il giovane aviatore che nel 1941 gli chiedeva se fosse lecito obbedire agli ordini dei superiori. La risposta di Mazzolari richiama il “dovere della rivolta” rompendo con la tradizione che obbligava al rispetto delle autorità formalmente legittime. Una presa di posizione ancor più decisa con il testo Tu non uccidere, pubblicato anonimo nel 1955 per aggirare la censura e rispondere ad altri giovani che, ormai nell’era post- atomica, ponevano domande semplici: «In caso di guerra, dobbiamo impugnare le armi? In caso affermativo – come italiani –, con chi e contro chi? In caso di occupazione americana (vedi patto atlantico) o russa, il nostro atteggiamento dovrà essere di collaborazione, di neutralità o di ostilità?». Mazzolari arriva ad incrinare il concetto di guerra giusta auspicando il sorgere di un movimento in grado di sventare «i disegni criminali» di chi prepara la guerra che resta purtroppo ancora «in mano dei militari, dei politici e dei banchieri». Una posizione maturata dal parroco di Bozzolo al culmine di un percorso iniziato da ragazzo affascinato nella Grande guerra dall’interventismo della Lega dei primi democratici cristiani di Eligio Cacciaguerra e Giuseppe Donati. Risaliamo all’epoca, descritta dallo storico Lorenzo Bedeschi, dove si agitavano gli scontri tra i “cattolici disubbidienti” verso la moderazione imposta dalle gerarchie ecclesiastiche. Così c’era chi voleva combattere “da sinistra” il militarismo prussiano e chi, come il sindacalista Guido Miglioli, gridava: «Non guerra ma terra», organizzando nel cremonese leghe bianche più combattive di quelle rosse.
Cattolici esigenti e perciò lontani da ogni clericalismo. Sia il manifesto dell’internazionale socialista di Zimmerwald che papa Benedetto XV parlavano di guerra come “orrenda carneficina” senza poterla tuttavia fermare. I partiti operai europei non dichiararono l’insurrezione popolare. Il pontefice si rivolse ai capi delle nazioni che lo ignorarono o lo accusarono di disfattismo.
Le parole di Mazzolari si dirigono invece alla coscienza del singolo e restano perciò pericolose. Esprimono una visione del mondo, della Chiesa e di Dio che Francesco ha voluto porre come esempio dello sguardo di misericordia che si mantiene prendendo necessariamente parte a fianco dei poveri e degli oppressi: in uno dei testi più noti, Mazzolari dice: «Ci impegniamo non per conquistare il mondo ma per amarlo». Don Primo salvò rifugiati ed ebrei, sostenne la Resistenza (Sergio Arini e Pompeo Accorsi, due “ribelli per amore” e amici carissimi, furono trucidati dai nazisti), ma fermò la vendetta sanguinaria dei partigiani dell’ultima ora. Diceva messa con i suoi persecutori messi in carcere e “piangeva con loro”.
Lorenzo Milani Comparetti proveniva da una famiglia ricca e coltissima, laica e di origini ebraiche, con intrecci genealogici che esprimono la cultura del ’900 europeo. Si converte misteriosamente a 20 anni mentre aveva cominciato a fare il pittore. Dopo una prima intensa esperienza nel borgo operaio di San Donato di Calenzano, redige il testo Esperienze pastorali che, secondo Massimo Toschi, tra i maggiori conoscitori, è da approfondire con priorità perché pone nodi tuttora irrisolti di una Chiesa tentata dall’alienazione ed è stato uno dei motivi che convincerà il vescovo a spedire un prete scomodo di 31 anni a Barbiana, poche case sparse sul monte Giovi, che diventeranno un luogo familiare per tantissimi che si rifanno al suo insegnamento.
Dalla parte dell’ultimo di Neera Fallaci, sorella di Oriana, resta con l’immediatezza dell’inchiesta, una fonte per avvicinarsi a quell’esperienza che i suoi ragazzi ormai invecchiati pretendono di custodire nell’essenzialità biblica che si può cogliere nei testi che incidono nel profondo. Spesso sono lettere. Come quella collettiva diretta “ad un professoressa”, da parte dei giovani della scuola di campagna, e destinata tuttora a far discutere sull’organizzazione dell’istruzione che genera e consolida diseguaglianze inaccettabili. Ma ad essere preso di mira è l’intero sistema sociale che privilegia i ricchi. Don Lorenzo è stato, perciò, accusato di cedere al “classismo” in un Paese che aveva un forte Partito comunista e in un tempo in cui nascevano le vocazioni dei preti operai, sostenuti dal periodico Adesso, fondato da Mazzolari. In realtà questi due cristiani in abito talare hanno custodito l’originalità evangelica che desacralizza laicamente ogni potere, come dimostra l’avvertimento di Milani contenuto nella lettera a Pipetta, giovane militante marxista: il giorno che ti sistemerai nella villa del padrone “io ti tradirò” perché resterò fedele al mio Signore crocifisso. Da questa medesima urgenza nasce la lettera ai cappellani militari e quella ai giudici che scriverà, ormai morente a 44 anni, per difendere la scelta dell’obiezione di coscienza al servizio militare. Una tagliente ricostruzione storica della menzogna della guerra che rompe con la retorica ufficiale di molti cattolici pronti giustificare e anche esaltare la patria pure quando si macchia di atroci delitti di massa. «Il cristiano è un uomo di pace, non un uomo in pace» aveva scritto don Primo.
Nel 2017, quindi, non si tratta di venerare le ceneri di Mazzolari e Milani, ma di trovarne le tracce in chi resta segnato da questa santa inquietudine di fronte a vecchie e nuove domande. Davanti al “crinale apocalittico della storia”, per citare il “rivoluzionario” La Pira, non si può restare alla finestra. Francesco resta tra i pochi a denunciare gli effetti di un’economia spietata, a ricordare che i migranti sono nostri fratelli e ad opporsi alle guerre promosse da apprendisti stregoni alla ricerca di chi sappia giustificarle narcotizzando le coscienze. Il vero pericolo, secondo Mazzolari, resta quello di fare «indigestione di prudenza».Milani, invece, come ha detto il papa, fece «indigestione di Cristo».