Dersu Uzala, il piccolo uomo che salvò un grande del cinema

“Dersu Uzala”, racconto e film. Una storia di amicizia tra appartenenti a due mondi diversi che sono riusciti a comprendersi
Desu Uzala Di Drgonzo1985 - http://www.imdb.com/video/screenplay/vi3516989721/, Copyrighted, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=3579370

La recente riproposta, per i tipi di Mursia, di Dersu Uzala richiama al tempo stesso il celebre film che da questo classico della narrativa russa ricavò il grande regista giapponese Akira Kurosawa nel periodo più critico della sua vita di uomo e di artista. L’autore – l’esploratore, naturalista, etnografo e cartografo Vladimir Klavdievič Arsen’ev (1872-1930) – descrisse in numerosi volumi le sue spedizioni nell’estremo oriente della Russia. Dersu Uzala narra appunto tre di questi viaggi nelle, all’epoca (siamo ai primi del Novecento), poco conosciute regioni della Siberia asiatica.

Durante una spedizione cartografica lungo quel fiume Ussuri che segna il confine russo-cinese con la Manciuria, il capitano Arsen’ev s’imbatte in uno strano personaggio: «Indossava una giubba di pelle di cervo e pantaloni dello stesso materiale. In testa aveva una specie di benda, calzava gli unty (calzature di pelle d’alce o di cervo siberiano, scamosciate), sulla schiena un grosso zaino, in una mano una vecchia carabina Berdan e nell’altra una forcella […] Dimostrava all’incirca quarantacinque anni. Era un uomo non alzo di statura, tarchiato.  Il suo viso, abbronzato, era tipico degli abitanti di quella regione: zigomi sporgenti, naso piccolo, occhi dal taglio mongolo e bocca larga».

Si chiama Dersu Uzala, un nomade solitario che trascorre tutto l’anno nella taiga siberiana, vivendo di caccia. «Quell’uomo mi interessava. Aveva qualcosa d’insolito. Parlava con semplicità, a voce bassa, si comportava modestamente, senza servilismi… Attaccammo discorso». Quando Arsen’ev propone al cacciatore di accompagnarlo lungo il viaggio, Dersu accetta; da allora in poi quest’uomo primitivo non finirà mai di stupire – per l’abilità e soprattutto la generosità e umanità di cui è dotato – il suo capitano, al quale salverà anche la vita.

Fa da sfondo alle varie peripezie a cui entrambi vanno incontro una natura selvaggia, dove l’uomo e gli stessi animali devono lottare per sopravvivere, ma sempre ricca di fascino, qui descritta nella multiforme bellezza di flora e fauna.

Dersu Uzala potrebbe avere come sottotitolo Storia di un’amicizia. Amicizia tra due figure agli opposti: il capitano Arsen’ev, legato alle convenzioni e abitudini cittadine, e Dersu Uzala, uomo libero incapace di vivere lontano dai suoi boschi e di condurre una vita sedentaria, anche quando lo consiglierebbe l’età avanzata non più adatta all’isolamento nella taiga. Modi diversi di concepire la realtà e la vita che però riescono a non confliggere.

L’ultimo incontro tra i due vede Dersu scandalizzato perché nella città dove è ospite del capitano gli uomini devono pagare la legna e l’acqua che la tajga elargisce invece gratuitamente. Racconta Arsen’ev: «La sera io ero seduto nello studio e scrivevo. D’un tratto sentii la porta cigolare. Mi voltai: sulla soglia c’era Dersu. Subito mi accorsi che voleva chiedermi qualcosa. Il suo viso esprimeva turbamento e ansia. Non feci in tempo a chiedere nulla che Dersu era già in ginocchio davanti a me e mi diceva: “Capitano, per favore, io andare sui monti. Io non potere vivere in città: comprare legna, acqua anche comprare, tu tagliare albero e altri uomini imprecare”. Io lo feci alzare e gli dissi di sedersi su una sedia. “Dove andrai?” gli chiesi. “Là” e indicò con la mano la lontana cresta azzurra del Chechcir. Mi dispiaceva separarmi da lui, ma mi dispiaceva anche trattenerlo. Dovetti cedere».

Anni dopo, l’ufficiale al servizio dello zar riesce a rintracciare Dersu, ma solo per costatarne la morte violenta, vittima di una rapina. Da allora lo accompagnerà il ricordo dell’amico dal quale ha imparato ad ascoltare il linguaggio della natura e a non considerare il creato, con i suoi beni viventi o inanimati, un libero campo di conquista e di sfruttamento.

Si può ben dire che come il cacciatore dell’Ussuri salvò la vita del suo capitano così pure salvò la carriera di Akira Kurosawa, tra i maestri indiscussi della storia del cinema, che affascinato fin da giovane da questa vicenda vera, da tempo accarezzava l’idea della sua versione cinematografica; desiderio sempre irrealizzato a causa dell’impossibilità, per un cineasta ancora esordiente come lui, di girare il film nei luoghi reali, in mezzo ai pericoli di una natura ostile. L’occasione propizia sarebbe arrivata in un momento cruciale della sua carriera, in seguito all’insuccesso di Dodes’ka-Den, film del 1971 dopo il quale nessun produttore giapponese aveva più voluto finanziargli un altro lavoro.

Un successivo fallimento – la sostituzione, perché considerato “inadatto”, alla regia del film di guerra statunitense Tora! Tora! Tora! – lo fece ritenere ormai un uomo finito artisticamente. Caduto in una profonda depressione, Kurosawa tentò il suicidio: fortunatamente un tempestivo soccorso gli salvò la vita. Subito dopo, dallo studio sovietico Mosfil’m gli arrivava la proposta che avrebbe segnato per lui un nuovo inizio: la regia dell’adattamento cinematografico di Dersu Uzala, il suo sogno nel cassetto!

Kurosawa riuscì a girare il film senza condizionamenti. Fedele al libro, variò solo l’ultima parte per intensificarne la drammaticità con la scena dell’uccisione, da parte di Dersu, della tigre, regina della taiga a cui andava tributato il massimo rispetto. Questa violazione dei limiti dovuti all’uomo, resa peraltro necessaria per la sopravvivenza degli esploratori, fu per Dersu motivo di angoscia e quasi un presagio di ciò che l’attendeva.

Specchio della stessa vicenda tormentata del grande cineasta, il film del 1975 non solo fu premiato con l’Oscar e con il David di Donatello, ma si rivelò un grande successo commerciale tanto in Russia quanto in America e Canada. Merito della fo­to­gra­fia e dei paesaggi stu­pen­di, della rara de­li­ca­tez­za con cui sono de­scri­tti i per­so­nag­gi e della eccezionale interpretazione del can­tan­te folk di etnia tuvana Mak­sim Mun­zuk nei panni del protagonista.

«Con il mio film – dichiarò Kurosawa – vorrei rammentare ai popoli di tutto il mondo quanto sia importante proteggere la natura. Se già da ora non iniziamo la lotta attiva per la sua conservazione, il nostro pianeta non sarà più adatto per la sopravvivenza della vita umana».  Un messaggio che, quando fu scritto il romanzo, non poteva certo avere l‘urgenza e la drammaticità dei nostri giorni. Non a caso il regista aveva aggiunto al suo Derzu Uzala il sottotitolo ammonitore Pensate a quelli che vi seguiranno, certo più graffiante e profetico di quello adottato per gli schermi italiani: Il piccolo uomo delle grandi pianure.

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