Depeche Mode, quarant’anni e non sentirli

“Spirit”, il nuovo album del trio britannico, ha segnato il ritorno di una delle band più significative del pop elettronico di questi ultimi decenni.  

Quando i Depeche Mode s’affacciarono sul rutilante mondo del music-business anglosassone, avevano intorno un mondo infinitamente diverso; così tanto che ben pochi all’epoca erano in grado di immaginare cosa sarebbe accaduto di lì a qualche decennio: non c’erano Internet e i telefonini, niente scontri tra integralismi culturali, niente migrazioni di massa.

Era un mondo che s’apprestava ad uscire dai tenebrosi anni di piombo per passare a quelli di panna, entrando nell’età di quell’edonismo positivista che avrebbe a sua volta innescato quel che ancora oggi abbiamo davanti agli occhi, almeno in Occidente: il prevalere delle forme sulle sostanze, lo strapotere massmediatico, l’emergere prepotente di un individualismo dai tratti depressivi e sempre più disincantati, una serie di tsunami sociologici e tecnologici dall’imprinting vagamente nichilista.

I Depeche Mode attraversarono quella decade e quelle seguenti lasciando regolarmente il segno, almeno dal punto di vista squisitamente stilistico, con le loro ipotesi di electro-pop d’alta classifica, e lo fecero con esiti alquanto significativi: oltre cento milioni di copie vendute quando i dischi ancora andavano via come il pane. Anche questo è cambiato dalle loro prime imprese: i download e gli streaming hanno modificato così tanto il mondo musicale da renderlo quasi irriconoscibile, nonostante il nocciolo duro del fare musica e del camparci su, resti più o meno lo stesso.

In ogni caso a Dave Gahan, Martin Lee Gore, e Andrew Fletcher, ovvero i tre sopravvissuti della band primigenia – questo mondo, fuori e dentro la musica, piace molto poco, e queste nuove canzoni lo affermano con veemenza per certi versi inedita. Lontani anni luce dalla dance sintetica e evanescente che li consacrò nell’olimpo delle star planetarie, i nuovi Depeche sfornano con questo album il loro lavoro più “politico” e arrabbiato. Ma lo fanno a modo loro: contrapponendo alla durezza dei testi, impatti sonori che svariano da un avanguardismo quasi rumorista alla suadenza di ballate post-moderne, enfatiche ed avvolgenti. Un contrasto ovviamente voluto, e foriero di emozioni che manderanno in sollucchero molti fan della prima ora e probabilmente anche qualche giovinotto che all’epoca dei loro esordi non era neppure nato.

Spirit è il loro quattordicesimo album. Forse non rientrerà fra i loro capolavori assoluti, ma aggiunge un nuovo stuzzicante capitolo a una storia che per molti versi li ha resi dei capiscuola assoluti in quest’ambito espressivo; soprattutto oggi che l’onda revivalista sta riportando in auge proprio gli anni Ottanta. Ma questo beninteso è un disco che all’epoca non avrebbe potuto assolutamente essere concepito: è viceversa un figlio di questo presente e come tale va letto, capito e metabolizzato. A breve una tournée li riporterà in giro per mezzo mondo: sarà anche l’occasione per capire meglio se e quanto i Depeche Mode siano ancora essenziali per pop-rock odierno e per provare a immaginare verso quali nuovi scenari i tre si stanno incamminando.

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