Dentro e intorno a Caravaggio

Nella rassegna al Palazzo Reale di Milano, si ha la sensazione di entrare nel   "mistero" dell’artista svelandone il percorso interiore unico

Lo sappiamo, Caravaggio è una star. Fioriscono così tante mostre su di lui e così varie e talora azzardate attribuzioni da pensare ad una certa sazietà sul personaggio. Il quale invece “tira”,anzi è una moda che, se fosse ancora in vita, non gli dispiacerebbe essere al cinema, in libreria, nei musei, ammirato da tutto il mondo. Una volta tanto, la rassegna a Milano, al Palazzo Reale, fa centro. Non solo perché espone venti tele da collezioni americane, inglesi, francesi e italiane di quadri che, almeno alcuni, si vedono solo in questa occasione. Ma perché indaga sulle opere, con rifletto grafie, analisi, radiografie, documenti: insomma, vi penetra in ogni modo e fa entrare  dentro anche noi, forse come  mai prima d’ora.

Veniamo a scoprire una tecnica agguerrita, che matura di opera in opera, con aggiunte, correzioni – “i cosiddetti “pentimenti” -, uso dei colori talora aggressivi, altre volte al risparmio, reimpiego di tele usate per nuovi soggetti, autoritratti costanti e una rapidità di esecuzione che meraviglia, come meravigliava i romani dei primi anni del Seicento, procurandogli invidie e gelosie da parte dei colleghi, anche  per via del carattere rissoso del personaggio. Sembra infatti- ed è una novità – che violento lo fosse anche da giovane a Milano, tanto che la sua discesa a Roma pare provocata dalla fuga per un omicidio o qualcosa del genere in terra lombarda.

Ma, biografia a parte, nella rassegna milanese si ha la sensazione di entrare dentro di lui,  Caravaggio, nel suo “mistero”, anche perché l’allestimento fa emergere  negli ambienti adombrati le singole opere, in ordine cronologico: le fa venire alla luce,  svela un percorso interiore unico. Ed è una scoperta.

Alcuni esempi. Il san Francesco in estasi (1595-96)  da Hartford è un notturno del santo appena stigmatizzato, sorretto da un angelo. Richiama una Pietà o uno di quei Compianti  scolpiti dai Mazzoni  nell’Italia settentrionale. L’illuminazione permette   dettagli a prima vista quasi ignoti, che salgono dall’ombra:  la luna dietro le nubi,un borgo di case, un gruppo attorno ad un fuoco. Caravaggio pittore “romantico” dell’ombra che genera la vita? C’è di più: il volto del santo è chiaramente un autoritratto del pittore,che si vede  in un (raro) momento di distensione. Un desiderio inconscio di pace? Sul retro del pannello si possono vedere le fasi della composizione: il fondo chiaro su cui si stende poi il colore, le incisioni, i cambiamenti in corso d’opera. Si “entra” davvero nello studio (e nell’animo) del pittore, seguendone le fasi  dell’ispirazione. Soprattutto emerge quel senso religioso profondo che – per quanto strano  possa sembrare –  è il leit-motiv  di molta arte caravaggesca. Un uomo come lui, che si sentiva “peccatore”,come affermava, forse più di altri ha potuto cogliere l’anelito alla spiritualità nella Riforma cattolica del suo tempo.

Il San Giovanni Battista (1604 circa) da Kansas City scuote da subito per la drammaticità del giovane teso e introverso, pensoso sul suo futuro: ritratto dal vero, come dicono le indagini e dipinto a grande velocità a giudicare dalle incisioni nervose praticate per guidare la collocazione della figura. Caravaggio lo squaderna sotto le fronde, gli mette addosso un gran manto vermiglio (che prima amplia, poi restringe), lo illumina nel busto e nel volto con violenza. E’ teatro religioso di una passione già in atto, prefigurata dalla canna in forma di croce. La tela sconvolge e commuove per la carica umana  e spirituale. E’ una delle vette di Caravaggio.

Il percorso lungo la mostra è emozionante. Sembra di vedere le opere del Merisi per la prima volta. Scopro l’Incoronazione di spine di Prato: mi stupisco ,il Cristo è tozzo, sformato, le membra sono senza proporzione,  gli sgherri sembrano le facce del pittore- due volte, da due angolazioni diverse! – : la scena è un urlo in rosso. Osservo il Cavaliere di Malta, da Firenze: veloci colpi di biacca a formare la croce sul petto . Mi fermo davanti agli omoni nella Flagellazione napoletana, tinte basse su fondo scuro. Caravaggio ormai estrae le figure dal buio, risparmia il colore, è in fuga, nell’anima e nel corpo.  Singolare: sotto il braccio di un carnefice si scopre la figura di un domenicano, poi cancellata. Un’ immagine curiosa e inedita, come  la Madonna in preghiera  apparsa sotto la tela della Buona ventura dai Musei Capitolini a Roma.

A fine percorso,  rimango di fronte al Martirio di sant’Orsola, da Napoli, dipinto qualche settimana prima di morire nel 1610. Difficile trovare le parole davanti  a questa desolata, triste scena dell’agonia e della morte, del cui sgomento – del pittore, di noi – Caravaggio è forse l’interprete più alto. Dal fondo nero della preparazione, rimasto inalterato,  brillano come lampi i rossi i grigi i bianchi: la sacra rappresentazione si anima, prende forma e vita. Orsola muore, Caravaggio guarda a bocca aperta, sprazzi di luce dicono che non tutto finirà, il boia crudo non ha l’ultima parola. Forse su ciò medita il san Girolamo, dalla pelle sfatta a larghe pennellate di biacca,nella tela da Montserrat.

Caravaggio ha detto la vita. Certo, dopo questa rassegna, curata da Rossella Vodret,pare che si debba  veramente rivedere molto sul Merisi. Forse abbiamo capito ancora poco di lui, del suo animo. Da non perdere. Fino al 28 gennaio.

 

Milano, Palazzo Reale, fino al 28 gennaio 2018  ( catalogo Skira, produzione Mondomostre Skira,Comune di Milano, Palazzo Reale, MIBACT,Gruppo Bracco)

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