Dentro il cuore di Napoli

Oltre i rifiuti e la camorra, viaggio alla scoperta di una città piena di vita e di cultura.
Napoli

Riscaldata dal sole e lambita dal mare, dall’isolotto di Megaride la sirena Partenope continua ad incantare. Lasciando la leggenda si torna alla realtà e dal Castel dell’Ovo, dove l’antica ammaliatrice ormai riposa in pace, si ammira il Vesuvio, il golfo, la città. Ecco Napoli in tutto il suo splendore, con i castelli, le chiese, il Palazzo reale. Bella, sanguigna e seducente, attrae e abbaglia chi dalle sue bellezze si fa tentare. Borsa a tracolla, macchina fotografica ancorata al polso, scarpe comode, via i gioielli: il viaggio alla scoperta di Napoli e delle sue meraviglie può cominciare. Avvolti dal profumo delle sfogliatelle calde, storditi dal vociare dei vicoli e dallo strombazzare delle auto, ci si prepara a una forte esperienza sensoriale.

 

Alle spalle di quel Rettifilo che sventrò la Napoli del Risanamento troviamo piazza Mercato. Qui nacque Masaniello. Qui si mandavano a morte i lazzari. Qui, nello splendore barocco della basilica del Carmine, in migliaia salutarono Antonio De Curtis. Nato scugnizzo e morto principe, il grande Totò amava declamare: «Sta Napule riggina d’ ‘e ssirene ca cchiù ‘a guardammo e cchiù ‘a vulimmo bbene ‘a tengo sana sana dinto ‘e vvene […] chi è nato a Napule nce vo’ murì (Questa Napoli regina delle sirene, che più la guardiamo e più le vogliamo bene, ce l’ho tutta intera nelle vene … chi è nato a Napoli vuole morirci)». Si continua a camminare: piazza Nicola Amore, i Quattro palazzi.

Saliamo, si va da San Gennaro. Il Duomo si rivela all’improvviso. Tanta magnificenza occulta la vicina, famigerata Forcella. È in questo luogo sacro che si ripete quel “miracolo” tanto amato e tanto contestato. “San Gennà, aiutaci tu” grida la gente, ma se il Patrono non scioglie il sangue sono guai. C’è chi elenca sciagure e chi comincia a pregare.

 

Ecco i Decumani, Spaccanapoli, San Biagio dei Librai. Qui si respira storia, arte, cultura. ’O sole mio di Caruso non è un’invenzione. Napoli brilla anche dove non c’è luce: nei vicoli coi panni stesi dove la vecchietta sulla seggiola fa la guardia al quartiere, catturati dall’aroma del ragù che si sprigiona dai bassi, persi nei libri dal profumo antico. Ecco San Gregorio Armeno, la strada dei presepi, ci sono le maestose opere d’arte che adornano le case dei regnanti e ’i curnicielli. Piazza San Domenico, zona università: storditi dall’odore di fritto ci sono gli studenti, gli artisti, i “vu cumprà”. Là dove Benedetto Croce sorseggiava il caffè all’ombra dei palazzi nobiliari, guarda la basilica, c’è il volto di un re, con la corona, gli occhi e, ooohhh, la bocca. Saliamo le scale, ammiriamo le cappelle, la volta spettacolare. Con gli occhi che ancora luccicano andiamo in via De Sanctis. Benvenuti nella Cappella San Severo, qui l’ingegno di Raimondo di Sangro, principe ed alchimista, fa gli onori di casa. Si entra e si tace. Che meraviglia! Davanti al Cristo velato non si riesce a parlare. Ancora ammutoliti si torna a camminare, ma prima ci si deve ristorare. Preferisci il babà con la panna dolce o la delizia che profuma di limone? Nel magnifico chiostro delle Clarisse ci riposiamo, tra “riggiole” maiolicate, affreschi, fontane. Ecco il monastero di Santa Chiara, distrutto dai bombardamenti, oggi severo modello di grandezza gotica. All’ingresso ci accolgono le spoglie di Salvo D’Acquisto, morto per salvare 22 innocenti dal fuoco nazista. «Se muoio per altri cento – disse – rinasco altre cento volte, Dio è con me ed io non ho paura». Con l’animo colmo di pace si va nella chiesa del Gesù Nuovo: un ex palazzo principesco che racchiude un gioiello barocco. Qui si affollano fedeli e malati: ci sono le reliquie di San Giuseppe Moscati. Al sole, in piazza del Gesù, brilla solitaria la guglia dell’Immacolata. Sotto, accoccolati, ci sono studenti, turisti e i disoccupati organizzati. Siamo affamati, controlliamo il portafogli: mangiamo la pizza economica e straripante ai Tribunali o gli spaghetti coi frutti di mare al borgo Marinari?

 

«Napoli – assicura Roberto Benigni – è una città con una grande bellezza. La bellezza quella vera, che ti sbrana, ti attanaglia». Sandra Rossi, educatrice e madre di 5 figli, vicedirettore della Comunità pubblica per minori di Nisida, un servizio del Dipartimento di Giustizia minorile del Ministero, pena molto per spiegare ai suoi ragazzi che c’è chi vive con mille euro al mese. «Ho detto loro – spiega – che i soldi per me non sono importanti, che non è ciò che mi fa felice. Mi hanno risposto che non potrebbero mai farlo. Con rapine, furti e spaccio, ogni giorno intascano 300 euro e anche di più. Spesso provengono da famiglie con molte problematiche, con valori zero, dove regna la cultura dell’apparire, del potere e dei soldi. Se non vesti firmato, se non hai l’ultimo cellulare e il motorino, non sei nessuno. Vivono ai margini – conclude Sandra – in un clima di illegalità diffusa. Per loro il lavoro è a nero, la patente si compra, il casco non si usa, le vaccinazioni non si fanno, a scuola non si va». In una scuola elementare di San Pietro a Patierno, racconta una giovane insegnante, quando si gioca a guardie e ladri «nessuno dei ragazzini – spiega – vuole fare il poliziotto, perché gli altri lo picchiano e lo prendono in giro. Quelli che impersonano i ladri, invece, si pavoneggiano facendosi chiamare come i boss più potenti del quartiere». È il cuore di Napoli, miseria e nobiltà. Eppure qui la cultura è regina: con musei zeppi di reperti di grandiose civiltà, opere di Caravaggio, Tiziano e di artisti contemporanei, con musiche di Bovio e Di Giacomo, opere di De Filippo, Scarpetta, Viviani. È un trionfo di bellezza: l’abbraccio di piazza Plebiscito col teatro San Carlo, il Maschio Angioino col fossato, Mergellina col lungomare. I parchi, la collina di Posillipo e la Certosa di San Martino: davanti a quel panorama mozzafiato il cuore è in paradiso. Dal cielo agli inferi, al cimitero delle Fontanelle, Rione Sanità, si va a salutare le “capuzzelle”, i teschi lasciati dalle anime “pezzentelle”. E poi ancora più giù, nella città sotterranea, nei vicoli di tufo dove fa i dispetti ’o “munaciello”. Al buio, con le mani sul muro, nel ventre silenzioso e umido della terra, si torna all’essenziale. «Dire che a Napoli va tutto bene sarebbe una menzogna. Soprattutto in periferia – afferma don Enzo Liardo, parroco della chiesa di San Francesco e Santa Chiara a Ponticelli – le persone vivono in un degrado enorme e le istituzioni sono incapaci di controllare il territorio. Qui anche per ottenere interventi di manutenzione nelle case popolari devi avere rapporti clientelari: scambi di favori o di voti, altrimenti ti tieni la casa danneggiata”. Sui muri del suo quartiere, il Lotto zero, campeggia la scritta “Nella mia città c’è una malattia che non va via: la polizia”, “comparsa – ricorda il sacerdote – alla vigilia di un concerto che avevamo organizzato insieme alla Polizia per ricordare il questore Palatucci, che salvò 5 mila ebrei durante la guerra. Abbiamo organizzato le Olimpiadi delle parrocchie, ma anche le regole dello sport, per i ragazzi che vivono qui, non erano tollerabili. Purtroppo, in questo quartiere, regna il degrado e nessuno fa niente». Sono parole dure, quelle di don Enzo, «frutto di dieci anni di presenza continuo sul territorio. Ma io – sottolinea il sacerdote – non sono né sconsolato né depresso. Potrei vivere per sempre in questo quartiere ed essere felice, perché il mio desiderio è solo quello di vivere il Vangelo. Queste cose, però, chiedono giustizia davanti a Dio. Le persone che vivono qui sono le vittime di chi dovrebbe aiutarle e non lo fa». La speranza però non muore. «Non è – sottolinea don Enzo – né nelle istituzioni né nella politica. È nel cuore dell’uomo, che è ancora capace di salvarsi». Il futuro è nella gente, nella capacità di risollevarsi, di cogliere le opportunità. In Napoli credono in tanti: nel 2012 ospiterà il Congresso Astronautico Internazionale, nel 2013 accoglierà il Forum universale delle Culture dell’Unesco. Bisogna soltanto, afferma Fabio Di Nunno, presidente della Salam House onlus, «imparare a rispettare e a promuovere la dignità umana. Ciascuno di noi è re, sacerdote e profeta ed è nostro dovere creare le condizioni migliori per esserlo davvero».

 

Chiese e religioni

 

Passi avanti nel dialogo

 

Accoglienza, dialogo e tanti passi piccoli, ma sicuri verso un obiettivo comune. Anche a Napoli si lavora per la fraternità universale. A gennaio è stato firmato lo statuto del “Consiglio regionale delle Chiese cristiane della Campania”. È inoltre cominciato un dialogo tra ebrei, cristiani e musulmani per valorizzare il contributo di ciascuno per la costruzione della pace. L’esperienza ecumenica ha radici profonde, sfociate nella costituzione del Gruppo interconfessionale di attività ecumeniche di Napoli. Massimo Finizio, odontoiatra quarantatreenne, ne fa parte con Rocchina Summa in qualità di rappresentante del Movimento dei focolari. «L’obiettivo è di far crescere la conoscenza e il rispetto reciproco in un campo contraddistinto da secoli di diffidenza. A Napoli, impegnarsi per l’ecumenismo è più semplice: la città è abituata al dialogo con il diverso».

Agli incontri del Giaen partecipa anche l’associazione Amicizia ebraico cristiana perché, spiega la presidente Diana Pezza Borrelli, «non c’è ecumenismo se non si riconosce la comune radice ebraica. In qualità di presidente della Federazione delle Amicizie ebraico cristiane italiane ho suggerito un programma basato sul “tridialogo” tra ebrei, cristiani e musulmani,

come proposto dal rabbino Laras, presidente del Collegio rabbinico d’Italia. Quest’apertura è un segno dei tempi: se non si dà voce al pacifismo islamico, risuona solo il fondamentalismo. Allo stesso modo bisogna dar voce al pacifismo israeliano, che viene zittito e non ha ribalta».

 

Tra paura e amore viscerale

 

Conoscevo il barbone morto a dicembre dopo essere stato gettato da alcuni ragazzi nell’acqua gelida di una fontana mentre dormiva. Tutti i frequentatori della linea 2 della metropolitana lo ricordano mentre, gentile e malconcio, chiedeva spiccioli. Quando ho letto la notizia mi sono chiesta sconvolta: che sta succedendo alla mia Napoli?

Ho un amore enorme per la mia città, che non mi impedisce di vedere quanto sia sbiadita la sua immagine e come l’abbiano malridotta quelli che la governano e quelli che la dominano (leggi camorristi). Vicino casa mia c’è il bunker di un boss, durante l’ultima emergenza rifiuti hanno dato fuoco alla spazzatura e anche alla mia casa. L’unica speranza seria di lavoro per i giovani è rappresentata dal concorso del comune, ma già è stata denunciata qualche “preferenza”.

A casa mia i ladri sono venuti tre volte: una volta ci hanno ripuliti, altre due ce li siamo trovati davanti. Per quanto riguarda gli scippi, con me ci hanno provato due volte: mi sono opposta (reazione meccanica!), ma una volta non dico quanti lividi ho riportato. Ormai non metto più collane o bracciali d’oro. Ho anche paura di uscire la sera con l’auto.

Se scoppia il Vesuvio, sarà una strage, perché vere vie di fuga non esistono e case e ristoranti arrivano a metà cono. L’anno scorso ci hanno tolto anche il mare, perché i depuratori erano rotti, e quest’anno sarà peggio.

 

Il cuore, però, resta a Napoli. Nonostante tutto. Nonostante la nostra terra sia stata sfregiata con rifiuti di ogni tipo e nessuno l’abbia ancora bonificata. Nonostante la paura di mangiare verdura o carne contaminate da diossina o altri veleni. Nonostante la rabbia per la mancanza di lavoro, la rassegnazione di tanti, l’inerzia e la litigiosità della classe politica e l’insopportabile presenza della camorra.

Ma essere napoletani significa anche avere una marcia in più. Vivere, lavorare, amare come tutti, ma con una fiducia grande in un futuro migliore. La mia Napoli è anche ottimismo, esaltazione: la montagna che porta all’infinito, il mare che apre il cuore, i bellissimi monumenti, la musica che riempie l’anima, il sole che dà energia e allegria.

Napoli è un grande cuore. Perdi il lavoro? Famiglia e amici non ti abbandonano, vescovi e sacerdoti manifestano al tuo fianco. Non hai la casa? C’è chi ti accoglie nella propria. Mancano i servizi? C’è chi si spende ogni giorno per servire gli altri gratuitamente.

 

 

 

Sul web

 

Il buono in vetrina

 

 «L’anno scorso abbiamo capito che dovevamo fare qualcosa per Napoli: ormai, per i mass media, era la capitale del negativo». Erano mortificati e volevano dire a tutti che la città non è solo camorra, rifiuti e confusione. «Abbiamo perciò deciso di mettere Napoli in… vetrina per mostrare le tante cose positive che ci sono». Giuliana Aversano, medico chirurgo, è diventata webmaster per necessità. «Consapevoli che i maggiori fruitori di Internet sono i giovani, abbiamo aperto il sito www.napulevetrina.com. Vogliamo gettare semi di speranza e il web – aggiunge – ci fornisce il mezzo per farlo». Il progetto è promosso dall’associazione Homo Faber per l’assistenza ai diversamente abili psichici e realizzato con i fondi ricevuti grazie al 5 per mille.

«Ci siamo impegnati in prima persona – spiega Giuliana –, chi per il sito, chi reperendo notizie e riducendo le spese al minimo. Poi abbiamo lanciato un concorso nelle scuole. Quando sono arrivati i lavori, siamo rimasti sorpresi e commossi dalla capacità dei piccoli di cogliere con semplicità il positivo».

Tante le esperienze pubblicate sul sito. C’è il bimbo di otto anni che descrive la città come «una fetta di pane con la Nutella» e c’è Antonio Nunziante, il vincitore. A Napoli, scrive, «già da piccoli s’impara ad amare il sole del lungomare e ad accettare il buio di Secondigliano … Forse lo sento solo io questo calore, ma … è soltanto in questa città che vedo davvero la voglia di cambiare negli occhi delle persone».

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