Il demone del potere e Hun Sen

Dal 1985, un Paese che si era risollevato da una guerra civile spietata e sanguinosa conosce una tra le più striscianti e drammatiche dittature del XXI secolo. La piaga della pedopornografia.

La Cambogia ha bellezze naturali e artistiche uniche nella regione: dal IX al XII secolo la sua influenza andava dalla Thailandia fino al sud del Vietnam. Ancora oggi, nella regione dell’Asean, non è strano trovare templi buddhisti con scritte in lingua khmer, cioè cambogiana, scolpite sulle pietre che adornano i templi: dal tempio di Phimai dell’anno 1000 d.C., situato nella città di Nakhon Rachasima, nel centro della Thailandia, fino al tempio di Po Nagar, situato sulla costa, a ridosso del mare della città di Nha Trang in Vietnam, costruito nell’anno 781 d.C. La Cambogia ospita, inoltre, una delle opere patrimonio mondiale dell’Unesco sin dal 1992, il sistema templare di Angkor che, in un perimetro complessivo di quasi 5 chilometri, è meta ogni anno di quattro milioni di turisti, una delle attrazioni mondiali da non mancare di visitare almeno una volta nella vita.

Eppure, quest’ affascinante Paese, gioiello del sud-est asiatico, con un popolo di una gentilezza unica al mondo, è guidato da un uomo solo, coadiuvato oggi dai suoi familiari, che dal 14 gennaio 1985 è il padre e padrone indiscusso del Paese. Ci si riferisce ovviamente a Samdech Akka Moha Sena Padei Techo Hun Sen, primo ministro della Cambogia. Hun Sen è stato in giovane età un membro del Communist Party of Kampuchea, ovvero un khmer rosso, come comunemente venivano chiamati i comunisti, cioè di coloro che hanno causato la morte, tra il 1975 e il 1979, di quasi due milioni di cambogiani: il 25% della popolazione. Ci sono volute le truppe vietnamite, che invadendo il Paese nel 1979 sconfissero i khmer rossi e instaurarono un governo di transizione. Hun Sen, passando dalle file comuniste dei khmer ad un alleato del loro vecchio acerrimo nemico, il Vietnam, non solo si è salvato la vita, ma è diventato con le buone e con le cattive il capo indiscusso del Paese.

L’attuale re, Norodom Sihamoni, è una figura senza nessun potere politico ed è solo un’autorità rappresentativa. Sono ormai 34 anni ininterrotti che il governo di Hun Sen detta legge, anni destinati purtroppo a continuare, visto che Hun Sen, nel migliore dei casi, elimina con l’esilio l’opposizione – come è accaduto a Sam Rainsy, Mu Sochua, Ou Chanrith, Eng Chhai Eang, Men Sothavarin, Long Ry, Tob Van Chan, and Ho Vann, membri del partito di opposizione Cnrp –, altrimenti li elimina.

Dal punto di vista dell’amministrazione e dell’economia, il Paese è il più corrotto della regione, e nella classifica di Transparency International, su 180 paesi, occupa il 161° posto. Sia il partito del premier, il Cambodian People’s Party (Cpp) come lo stesso primo ministro, vengono accusati (ma solo all’estero) di riciclaggio di denaro sporco, attraverso i numerosi casinò di Sihanoukville, una vera e propria lavatrice di soldi sporchi provenienti da tutto il mondo. Possibile?

Il figlio maggiore del primo ministro, Hun Manet, è il vice-comandante delle Forze armate nazionali; sua moglie ha in mano le cosiddette “opere sociali” del Paese, utilizzando i proventi del partito Cpp. In pratica, la signora ha un controllo capillare del territorio che non ha paragoni con altri partiti politici. Le figlie di Hun Sen, inoltre, controllano i mass media e gran parte dei business della nazione.

Attraverso amicizie mirate con uomini d’affari cambogiani, gli investimenti stranieri, soprattutto cinesi, non sono altro che ottimi proventi per la famiglia di Hun Sen e per il proprio entourage. Come fosse un regno d’altri tempi, anche se siamo nel 2019. La Cina la fa da padrona, spiazzando con ingenti capitali gli Usa e l’Europa, che timidamente tentano di imporre qualche sanzione per indurre Hun Sen a cambiare politica e favore di una vita più democratica nel Paese. Finora, nessun risultato positivo è stato raggiunto, e le loro minacce cadono nel vuoto: con la Cina alle spalle, HunSen non ha bisogno di capitali occidentali.

Intanto la Cambogia è diventata da più di un decennio, un feudo dei pedofili, che hanno fatto del Paese, come d’altronde delle Filippine, i centri di commercio della pedopornografia e dello sfruttamento sessuale minorile del mondo. Grande sforzo delle forze di polizia di Australia, Regno Unito e Usa, che sono i Paesi dove risiedono il maggior numero di consumatori di pedopornografia online: le forze dell’ordine internazionali stanno cercando di aiutare i colleghi cambogiani nel contrattaccare i criminali, ma purtroppo mancano mezzi, leggi adeguate ed esperienza. La domanda di minori da sfruttare a scopo sessuale viene in gran parte da uomini cambogiani, come afferma il Dipartimento di Stato Usa, nel documento Trafficking in Person Report del 2019. Certo è che, aerei zeppi soprattutto di maschi provenienti da altri paesi dell’Asia, da Europa, Usa e Sud Africa, arrivano in Cambogia con uno solo scopo: turismo sessuale con minori. Una questione che la comunità internazionale dovrebbe prendersi davvero a cuore: la Cambogia non può essere lasciata sola nel combattere il demone della pedofilia.

Con la totalità dei seggi a disposizione in Parlamento dopo le elezioni del 2018, 125 seggi conquistati su 125, Hun Sen lancia un messaggio al mondo intero: il Paese gode di pace ma è fragile e solo lui e il suo partito possono garantirgli un futuro. All’annunzio del ritorno dall’esilio, il prossimo 9 novembre, del capo dell’opposizione, Sam Rainsy, economista e leader del partito d’opposizione Cambodian National Rescue Movement, Hun Sen ha risposto con la minaccia di arresto e di condanna per tradimento a 30 anni di carcere. Anche per favorire un processo democratico nel Paese la comunità internazionale dovrebbe lavorare a fianco della Cina, il maggior investitore in Cambogia. Ma non sembra facile in quest’epoca di lotte commerciali senza quartiere.

 

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