Democrazia nei partiti. Secondo Costituzione
L’ultima rilevazione scientifica (Rapporto Gli italiani e lo Stato 2016, realizzato da Demos su incarico del Gruppo L’Espresso) colloca i partiti politici all’ultimo posto nella fiducia degli italiani, con un miserevole 6%. Sotto il 30% troviamo anche lo Stato (20), il Parlamento (11) e l’Unione europea (29). Dal 2010 al 2016 si registra una tendenza verso il basso anche delle istituzioni che stanno meglio in salute come il capo dello Stato, magistratura, sindacati, comune, Chiesa. Eppure lo studio affianca a questi dati quelli molto positivi che descrivono la partecipazione politica dei cittadini. L’indice del 2016 schizza al 52% dal 45 del 2015. Più della metà degli italiani ha preso parte a iniziative politiche: da quelle politico-partitiche (percentuale più bassa) a quelle legate al quartiere o alla città (percentuale più alta). Accanto a queste più tradizionali, crescono le nuove forme di partecipazione: il 57% dei cittadini partecipa alle discussioni politiche via Internet, ma si impegna anche a boicottare o promuovere l’acquisto di un prodotto per motivi etici, sociali o ecologici. I cittadini, quindi, ci sono. Noi ci siamo. E per il 48% di noi il partito rimane una insuperabile cinghia di trasmissione con i centri di potere, solo che non riteniamo che riescano a svolgere questa funzione. Che fare? Si dice da più parti: «Attuiamo l’art. 49 della Costituzione con una legge che imponga ai partiti un modo di operare davvero democratico e partecipativo, per rompere così i cerchi chiusi del potere che li soffocano e li dividono anche dai loro stessi elettori». Da parecchie legislature il Parlamento colleziona proposte di legge per dare una disciplina ai partiti politici. Nella legislatura attuale l’iter si è spinto molto avanti: la Camera infatti ha approvato un testo che ora è passato al Senato. Le previsioni non sono rosee, ma guardiamo al volo i contenuti. Il testo è il risultato di molte proposte di legge, tutte decise a dare una sterzata ai partiti e a porre fine alla legittimità dell’autogestione: ecco quindi le previsioni sugli statuti e sul passaggio al regime stringente delle associazioni riconosciute, sulla partecipazione degli iscritti, sull’obbligo di tenere le primarie o altre garanzie di democraticità interna. Senonché la proposta approvata dalla Camera sancisce nero su bianco che i partiti sono (solo) associazioni non riconosciute, che la trasparenza e la democraticità diventano (solo) principi e non obblighi, allo statuto può sostituirsi una “dichiarazione di trasparenza”, di primarie non si parla, e via deludendo. Ma c’è una ragione valida che giustifica il tenore leggero della proposta di legge, e la fornisce proprio l’art. 49 della Costituzione: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Il dibattito dell’Assemblea costituente aveva sviscerato la questione del “metodo democratico” e come si vede l’articolo non dice «associarsi con metodo democratico», bensì «concorrere con metodo democratico», ecc. Il che significa che la libertà associativa in materia di partiti politici è amplissima e certo comprende anche forme non rispondenti ai criteri di democraticità. Del resto, Togliatti e il Partito comunista all’epoca, e Grillo e il Movimento 5 Stelle nel Parlamento odierno, costituiscono la voce che rivendica quella libertà associativa. Qual è lo spazio che resta alla legge? La legge può prevedere tutto, anche disciplinare le primarie, ma non può imporre se non poche prescrizioni; può anche legare – in qualche misura – meccanismi premiali a comportamenti virtuosi, com’è nel campo dei contributi pubblici. Attualmente, ad esempio, per accedere ai benefici finanziari (tipo il due per mille che i contribuenti possono scegliere di destinare loro) sono tenuti a dotarsi di uno statuto, redatto nella forma dell’atto pubblico. Ecco che allora qualche garanzia scatta; ma resta la libertà di rinunciare ai benefici e di organizzarsi secondo sentieri personali, o per meglio dire personalistici. Restano perciò attuali le parole di Aldo Moro in Assemblea costituente: «È evidente che, se non vi è una base di democrazia interna, i partiti non potrebbero trasfondere l’indirizzo democratico nell’ambito della vita politica del Paese». Una riforma costituzionale non potrebbe partire da qui?