Democrazia intelligente
Un primo estratto dall'introduzione "Democrazia intelligente" di Daniela Ropelato, redatta sotto la singolare forma di intervista.
Qualche tempo fa ho partecipato ad una serata di dialogo: l’invito mi è arrivato da un gruppo di giovani di una città dell’Italia centrale. Il tema che mi era stato affidato era: “democrazia e partecipazione”, binomio che costituisce uno dei miei principali interessi di ricerca e intorno al quale si organizzano anche i capitoli di questo volume.
Da qualche settimana quei giovani si ritrovavano periodicamente per un’esperienza di formazione politica e, avvicinandosi l’ennesima scadenza elettorale, volevano darsi il tempo di capire meglio il contesto in cui si collocava la nuova chiamata al voto e, soprattutto, il clima di scetticismo e disincanto che li aveva facilmente agganciati. Non mancava una buona dose di provocazione, nel tono delle loro domande.
Per prima cosa, qualcuno ha chiesto di dare una definizione iniziale di democrazia. Ho preferito che a prendere la parola fossero anzitutto loro, uno dopo l’altro; io stessa aggiungevo qualche domanda. Peccato non aver previsto la possibilità di registrare i loro interventi; stare ad ascoltarli mi interessava davvero. Un tratto comune era il loro rifiuto di consegnare il cervello all’ammasso. Anche se esibivano in più momenti un tono fluttuante di superiore distacco, a volte un po’ cinico, in realtà quelle che mi trovavo di fronte erano persone interessate e mediamente informate, consapevoli della complessità che ci circonda, disposte a mettersi in gioco, a prendere posizione, già addentratesi loro stesse in un impegnativo percorso di ricerca. Eppure, e qui viene il punto, quando si è tentato di mettere in relazione diretta partecipazione e democrazia, sono emerse osservazioni singolari.
Era evidente che l’idea della partecipazione, tra quei giovani, non aveva consistenza; aveva poco a che fare con la forma attuale di democrazia, appariva piuttosto un ostacolo, un inconveniente… Qualcuno, che aveva già superato corsi di filosofia e storia, ricordava Atene e i greci e forse per questo la chiudeva nel mondo delle utopie politiche, o tra i nobili principi dell’ideologia. Più semplicemente, la maggior parte di loro riconosceva di non sapere bene cosa cercassimo di descrivere.
Sono tornata a casa con impressioni molto simili anche in seguito, dopo aver partecipato ad altre serate che avevano il medesimo formato, organizzate in altre città della penisola. Per questo, quando con l’editore si è deciso di procedere a pubblicare un libro su democrazia e partecipazione, quei giovani erano ben presenti. Al punto che proprio alcuni di loro mi hanno aiutato a scrivere l’introduzione, accompagnandomi con le loro domande.
Domande che mi hanno permesso di recuperare più facilmente i punti nodali di questa ricerca, di descrivere la sua origine e il momento che oggi occupiamo sul tracciato di questo progetto: verificare come rimettere insieme partecipazione e democrazia, e per questa via aggiungere qualità al convivere nelle nostre città, nei nostri Paesi.
Ancora una volta ne ho tratto la conferma che conoscere non è mai un’operazione individuale e che non è soddisfacente nemmeno l’immagine di una relazione unidirezionale. L’elaborazione del pensiero ha la sua casa in uno spazio plurale, costruito attorno alla ricerca di valori condivisi. Ogni volta che ci mettiamo insieme, sinceramente interessati al contributo che ciascuno può dare, è difficile dire chi spinga più avanti tale processo: chi parla o chi si ferma ad ascoltare. E chi a volte dubita e si meraviglia, di fronte a chi afferma, può avere un ruolo generativo altrettanto importante.
Certo la forma dell’intervista non è usuale per introdurre un lavoro di questo tipo, ma ho ugualmente la speranza che ne verrà qualcosa di proficuo per il lettore che avrà la pazienza di seguirci in questo tentativo.
L’idea della partecipazione dei cittadini al governo della polis ha una lunga storia; era già un cardine della democrazia ateniese ai tempi di Pericle. La prima domanda non può essere che questa: oggi, a che punto siamo? In quale direzione ci stiamo muovendo?
Misurare il percorso che abbiamo dietro le spalle è un’impresa difficile, anche perché il nostro punto di osservazione è evidentemente limitato. Dovremmo anzitutto essere in grado di rispondere ad alcune domande: sulla base di quali criteri valutare le trasformazioni che hanno modificato l’idea di democrazia? È possibile immaginare un punto di arrivo? E se decidessimo di parlare del momento attuale come di una fase di crisi, qual è il termine di confronto? Per questo, non è raro che gli studiosi adottino un concetto più immediato e, quando è necessario inquadrare il momento attuale, propongano di parlare di transizione, di passaggio ad altro.
Forse Churchill aveva ragione quando azzardò a parlare di democrazia come della peggiore soluzione che gli uomini avessero trovato ai problemi del convivere. Una soluzione che tuttavia ci teniamo stretta perché – continuava il leader britannico – tutte le altre che sono state sperimentate fino ad oggi sono peggiori. Al punto che il vasto processo di democratizzazione che ha prodotto l’estensione della forma democratica a tutte le latitudini del pianeta, è stato definito il fenomeno politico più importante del ventesimo secolo.
Così, il fatto che si continui a ragionare di democrazia dopo venticinque secoli da quando se ne coniò il termine, non è senza significato. Difficile giustificare che una semplice esercitazione accademica possa impegnare il dibattito politico e culturale così a lungo. La straordinaria resistenza del suo fascino conferma quello che è certamente uno dei suoi caratteri essenziali: la possibilità di correggere se stessa, di modificare il suo statuto e adattarlo all’evolvere dei luoghi e dei tempi, in modo coerente alla cultura dei popoli, ai loro principi e ai loro valori.
Di conseguenza, una volta deciso che esistono fondate ragioni per occuparci di democrazia anche oggi, tra i suoi vari capitoli non c’è dubbio che quello sulla partecipazione sia cruciale. Quasi un denominatore comune incomprimibile che definisce tutti e quattro i cardini di una definizione minima di democrazia: il suffragio universale della popolazione adulta, maschile e femminile; elezioni libere, competitive, ricorrenti, corrette; un sistema plurale di partiti politici; diverse e alternative fonti di informazione. La crescita della partecipazione dei cittadini in termini di quantità e di qualità può essere considerata l’elemento centrale di ognuno di questi aspetti.
Proprio per questo carattere di generalità, si potrebbe pensare che la partecipazione non ci condurrà a nuove sensazionali conoscenze… Non è più urgente dedicare impegno e risorse a temi politici apparentemente più decisivi di questo?
Una certa svalutazione delle pratiche partecipative è abbastanza diffusa: meglio studiare determinanti del sistema politico che hanno un peso maggiore – così sentiamo dire -, la riforma dei sistemi elettorali, dello stato sociale, il governo della finanza internazionale, il controllo del poteri criminali, la creazione di un sistema di governance globale… Partecipare rappresenterebbe nient’altro che un’opzione esterna, un orientamento all’azione ricco di qualità umane, ma destinato a operare in un contesto volontaristico e solo in via accessoria la costruzione democratica richiederebbe una corretta declinazione della regola partecipativa.
Al contrario, ragionare di partecipazione non è un’esercitazione soft che sfiora solo marginalmente i nodi dell’attualità politica. Ci troviamo di fronte ad una vera e propria dimensione strutturale della democrazia, in grado di concorrere a definire il suo assetto, la sua stessa configurazione. E se attorno alla partecipazione ruotano concezioni e prospettive della convivenza essenzialmente differenti, la teoria democratica non può limitarsi ad un giudizio di indifferenza. Emarginazione ed esclusione sociale costituiscono tuttora una drammatica cifra della nostra epoca, che modifica le relazioni e i processi pubblici, la loro determinazione e il loro sviluppo; per questo è ancora tempo di trattare a fondo di partecipazione, di approfondirne il significato, di diffonderne la pratica.
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