Democrazia a rischio per eccessiva diseguaglianza

Numeri precisi e imbarazzanti nel rapporto Caritas 2014 sulle politiche contro la povertà in Italia. Un “Bilancio della crisi” che chiede forti cambiamenti. Chi lo prenderà sul serio? 
soldi

I soldi si trovano, quando si vuole. Lo ha dimostrato il governo Renzi con il Bonus di 80 euro mensili erogato tramite le buste paga dei lavoratori dipendenti con reddito medio basso. Nel conteggio non è stato considerato il reddito complessivo e la composizione della famiglia con le relative storture.

Son rimasti esclusi, oltre ai pensionati e ai precari, i lavoratori più poveri, quelli cioè che non pagano le imposte perché le detrazioni sono superiori all’irpef dovuta. Sono i cosiddetti “incapienti”: non possono far valere il loro credito di imposta verso il fisco ma lo perdono, punto e basta. In pratica se devo 100 allo Stato e ho 150 di detrazioni per figli a carico, il conto finisce in pareggio, senza poter chiedere il rimanente 50.

Da queste e altre anomalie discende il fatto che i 6,6 miliardi di euro di bonus erogati nel 2014 e gli oltre 10 miliardi del 2015 non toccano «la maggior parte delle famiglie povere in termini assoluti e relativi».  

È questa   la conclusione a cui è giunto il Rapporto 2014 della Caritas sulle politiche contro la povertà in Italia che passa in rassegna gli effetti dei provvedimenti degli ultimi governi con riferimento al contenimento del fenomeno della povertà in aumento inquietante nel Paese. Circa 130 pagine di studio da conoscere bene.

Come ha osservato l’ex ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, con le cifre del Bonus si poteva offrire il sostegno adeguato a tutte le persone al di sotto della soglia di povertà assoluta. A dire il vero la proposta dell’Alleanza contro la povertà propone un intervento a tappe destinato ad entrare a pieno regime il quarto anno con 7,1 miliardi di euro.  Circa un terzo in meno del Bonus del 2015.

Ma la misura applicata dal ministro dell’economia Giancarlo Padoan, anch’egli ex presidente dell’Istat come Giovannini, risponde al diverso risultato di rilanciare i consumi come scelta di politica economica. Obiettivo che non sembra ancora raggiunto secondo l’ultimo bollettino dell’Istat del 9 gennaio 2015 su redditi e risparmi delle famiglie. Consumi che si sarebbero impennati, invece, con l’afflusso di denaro a coloro che sono al di sotto della soglia della povertà assoluta e cioè le famiglie che, per definizione, non riescono a consumare beni e servizi considerati primari.

Uomini, donne e bambini notoriamente a risparmio zero in un Paese che come confermato da diversi rapporti, ultimo quello dell’ufficio studi della Bnl, detiene il record europeo in ricchezza privata accumulata, superiore ai valori del 2007: 4 mila miliardi di euro, 65 milia euro pro capite (Germania e Francia sono a 63 mila). Una ricchezza distribuita in maniera ineguale: il 50 per cento del totale è detenuto dal 10 per cento della popolazione.

Da questa forte diseguaglianza proviene un freno alla crescita economica, anche secondo le ultime osservazioni dell’Ocse, ma anche nel caso di una ripresa, come invita a riconoscere il rapporto Caritas, non si potrà tornare ai livelli di povertà assoluta pre-crisi «a causa dell’indebolimento strutturale del contesto socioeconomico italiano». Come a dire che non ci può sbarazzare della realtà effettiva con promesse illusorie senza intervenire sul serio, anche perché questo squilibrio è il vero pericolo della democrazia di un Paese. L’incrinatura del legame sociale che lo tiene assieme.

In Italia, afferma il rapporto Caritas, non c’è mai stata «l’età dell’oro» nella politica contro la povertà. L’ultimo punto di riferimento sistematico sono i lavori della commissione Onofri del 1997, che veniva dopo una lunga azione da parte di persone appassionate e credibili come Ermanno Gorrieri. Di fatto, continua il rapporto, siamo lontani dalla media europea (0,4 per cento del Pil contro lo 0,1 italiano) e i governi di centro destra, nel pieno manifestarsi della crisi, hanno quasi azzerato i fondi sociali mentre, a cominciare dal 2013, il complesso delle misure su irpef, iva, imposte sugli immobili ha ancora «lievemente peggiorato le condizioni economiche delle famiglie in povertà».

 

 

 

  

      

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