Delrio, il referendum e le sfide della ripresa

Intervista a Graziano Delrio, capogruppo del Pd alla Camera dei deputati su alcune questioni aperte nel Paese. Le ragioni del Sì al referendum costituzionale del 20 e 21 settembre, la gestione pubblica della banda larga e la redazione del recovery plan. Dialogo aperto sul Focus Referendum costituzionale 2020
Sul Referendum Delrio Monaldo / LaPresse

Il direttivo nazionale del Pd ha preso ufficialmente posizione sul referendum costituzionale del 20 e 21 settembre, come prevedibile e già anticipato dal segretario Nicola Zingaretti, a favore del Sì, assicurando, comunque, che qualsiasi risultato del voto non avrà ripercussioni sul futuro del governo.

Rimasta in sordina per lungo tempo, la questione, data per acquisita, del taglio del numero dei parlamentari è diventata centrale nel dibattito politico, assieme delle elezioni in 5 regioni (Liguria, Veneto, Marche, Campania e Puglia) dagli esiti, questi sì, più significativi sull’equilibrio dell’esecutivo.

Ma questo è, anche, il tempo della redazione del Piano di rilancio dell’Italia e della risoluzione di dossier determinanti come quello sulla proprietà e gestione della banda larga. Un nodo strategico della comunicazione e innovazione tecnologica.

Ne abbiamo parlato con Graziano Delrio, esponente di primo piano del Pd. Come capogruppo del partito alla Camera ha gestito le trattative per nascita del Governo Conte 2 affrontando i temi decisivi che stanno affiorando ora, nel tempo del referendum costituzionale.  A proposito della “banda larga”, al di là della complessità della materia, e degli intrecci azionari delle società coinvolte, è significativo che, anche in forza dell’impegno di Delrio, si stia arrivando, dopo decenni dalla privatizzazione di Telecom, ad un ritorno di un controllo dello Stato nella proprietà e gestione della rete unica nazionale, strategica per lo sviluppo digitale dell’Italia.

L’evoluzione della presenza pubblica nella proprietà e gestione della banda larga segna un ritorno, in tempo di pandemia, del ruolo dello Stato nell’economia?
Lo
Stato deve riacquistare un ruolo non solo di regolatore ma di controllo perché il grande nemico del progresso e della libertà dell’uomo risiede nel fatto che vi siano dei monopoli o persone che posseggono troppo potere. E nel terzo millennio il potere è dato dal possesso dei dati che possono influenzare, in modo pericoloso e subdolo, i comportamenti individuali e collettivi in maniera decisiva. La proprietà pubblica vuol dire che lo stato deve vigilare su questi spazi per conservare questi spazi di libertà personale e di iniziativa sociale. Compito della politica è quello di porre limiti al potere. Ora questa soluzione che è stata ipotizzata rappresenta una virata decisiva nei confronti dell’impostazione finora seguita. Non è la soluzione ottimale e staremo a vedere come andrà a finire.

Ovviamente non penso che lo Stato sia l’unico in grado di redistribuire la ricchezza. E in questo senso ho una posizione diversa dai nostri alleati di governo (i 5 Stelle ndr) perché tale redistribuzione, come ci insegna l’economia civile, può avvenire anche da parte dei privati. Più ruolo dello Stato, quindi, ma con giudizio.

Si teme l ’esplodere ad autunno della bomba sociale, ma ci sono le risorse del Recovery plan da concretizzare in progetti da presentare dal prossimo 15 ottobre ad aprile 2021.  Secondo Enrico Giovannini, portavoce dell’Alleanza per lo sviluppo sostenibile, è necessario evitare una giustapposizione di proposte dei vari ministeri, sprovvista di una visione organica. Cosa ne pensa?
Innanzitutto mi sembra necessario far chiarezza e dire che le risorse europee previste dal recovery plan non arriveranno prima di settembre 2021. Si potranno avere, al massimo, 10/15 di miliardi di euro di anticipo. Avremmo la disponibilità dei 36 miliardi del Mes che non stiamo usando e potevano essere già impiegati per la sanità.  Sono, poi, abbastanza d’accordo con Giovannini.  Due mesi fa ho detto che occorre definire una nuova visione, che alla base dell’accordo di governo, capace di riarmonizzare l’ambiente con il modello di sviluppo, tra le persone e nelle città. Dobbiamo definire meglio i progetti di lungo termine ma c’è troppo poco dibattito politico in Italia sulle scelte conseguenti ad una transizione ecologica verso un mondo più umano. D’altra parte il 38% dei fondi europei dovranno rientrare in questa finalità.

Un perno di questa maggioranza è l’accordo sulla riduzione del numero dei parlamentari che sarà al centro del referendum costituzionale del 20 e 21 settembre. Lei si è espresso per il Sì ma molti esponenti del Pd e del centro sinistra sono per il No. Rosy Bindi, assieme a diversi firmatari di un appello, vedono nella vittoria del Sì una deriva verso l’autocrazia…
Il Sì non è affatto un rischio per la democrazia. Mi sono occupato di riforme dal 2013 con il governo Letta e bisogna dire che il centrosinistra è sempre stato a favore di una riduzione del numero dei parlamentari. Dalla commissione Iotti De Mita del 92 a quella D’Alema del 97 fino alla riforma del 2016 (bocciata poi dal referendum). Noi abbiamo sempre detto al governo giallo verde di essere d’accordo con la riduzione del numero dei parlamentari per rientrare nella media eletto/elettori degli altri Paesi, ma che la riforma presentata non conteneva quei correttivi necessari per evitare seri problemi. Ad esempio rischiava di lasciare alcune regioni senza adeguata rappresentanza in Senato oltre a complicare il lavoro delle commissioni e non prevedere il voto per i 18 anni anche per il Senato. Ma nell’accordo di governo questi ostacoli sono stati superati.

Come si spiega, allora, la posizione dei suoi compagni di partito favorevoli al No?
 Comprendo le loro ragioni considerando la proposta originale della riforma nasce in un contesto di disprezzo della democrazia rappresentativa. Con la previsione di non far valere il quorum sui referendum propositivi introdotti alla pari con le proposte di legge del parlamento. Ma questi elementi sono stati rimossi dal tavolo. Non ci sono più. A chi dice che la riforma non va bene perché non prevede il superamento del bicameralismo paritario (stessi poteri e competenze tra Camera e Senato, ndr) faccio notare che tale proposta è stata bocciata dal referendum del 2016 proposta dal governo del Pd guidato da Renzi. Sono invece convinto che la vittoria del Si sarà il primo passo verso una riforma complessiva. Come, ad esempio, oltre al superamento del bicameralismo paritario, l’istituto della sfiducia costruttiva (il parlamento elettivo non può votare la sfiducia ad un governo in carica, se non concede nello stesso tempo la fiducia a un altro governo, ndr) e proposte di rafforzamento dei poteri del premier già avanzate da Dossetti (un padre costituente,ndr) nel ‘94. La riduzione del numero dei parlamentari costituisce, a mio parere, una possibilità di crescita della loro autorevolezza

Resta aperto il discorso della legge elettorale ancora da approvare. Condivide l’impianto del Germanicum (un sistema proporzionale con soglia di sbarramento, ndr)?
Certo. Credo che quella formula ci garantirà di poter avere una vera rappresentatività di tutto il corpo elettorale.

Nota bene:

questa intervista rientra del dialogo aperto promosso da Città Nuova per discutere in maniera aperta e ragionata sulle ragioni del No e del Sì in merito al referendum costituzionale in programma per il 20 e 21 settembre in Italia. Si veda, ad esempio, la posizione del No in questa altra intervista.

Tutti gli interventi sul Focus Referendum costituzionale 2020

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