Dedicato “a chi resta”

Dal 29 novembre 2018 nelle sale cinematografiche il film di Valerio Mastandrea dal titolo Ride

Bello lo è Ride, film scritto sceneggiato e diretto da Valerio Mastandrea. La piccola comunità sul mare, a due passi da Roma, è sconvolta per la morte di Mauro, 35 anni, in uno dei soliti incidenti di lavoro. Rimane la giovane vedova, Carolina, il figlio Bruno, che fa la seconda media. È la vigilia del funerale, che sarà pubblico, con la televisione, le interviste, magari gli striscioni dei compagni di lavoro, gli applausi alla bara. L’apparato mediatico a cui siamo ormai abituati quando c’è una “morte bianca”.

Ma Carolina sta muta, stordita in casa, vagando da una stanza all’altra. Tutti si aspettano il pianto, la disperazione. Lei, invece, nulla. Il piccolo Bruno fa le prove con un amico per l’intervista televisiva che ci sarà, il padre di  Mauro, chiuso, scorbutico, prepara la macchina con l’altoparlante per chiamare i lavoratori. Arrivano le visite a casa di Carolina: una vicina anziana che poi si sente male, una coppia che sta per separarsi e che tocca a lei consolare, il cognato violento in lotta col padre e disperato lo porta poi dinanzi alla salma del fratello. Tanti devono fare i conti con la vita, con la fine degli affetti. Carolina resta impietrita, non riesce a piangere. Lo grida al figlio che non la capisce, le chiede il motivo che “neanche lei sa”. “Di’ a tutti che la mamma ride”, grida al piccolo  Bruno che poi si ribella, si rifiuta di andare al funerale.

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Il film spazia da un personaggio all’altro con mitezza, alterna la lieve ironia romana al dramma, mai esasperato anche nei momenti acuti. Lo stile di Mastandrea è pacato, silenzioso, riflessivo, non c’è mèlo,  gli attori sono strepitosi, naturali (Chiara Martegiani, Renato Carpentieri, Stefano Dionisi, Arturo Marchetti…). Ci sono situazioni forti: il padre dei due figli si rende conto che non li ha mai amati e si domanda «perché oggi muoiono i figli e non i padri?».

È il perché della morte, del dolore, domanda insistente che vaga durante il film e genera dolore, incomprensione,  mutismo.  Nulla cambia, all’apparenza. Eppure la sofferenza può generare  legami come  l’acqua che invade la stanza di Carolina e costringe Bruno a coprire la madre con l’ombrello, ritrovandola. Il dolore è muto. Ma «almeno ora che  Mauro è morto, il vostro amore dura per sempre», dice la coppia  che si sta lasciando a Carolina. La morte è allora non solo lutto, ma purifica, può far riavvicinare le persone, far vivere l’amore con tenerezza.  Come succede nel finale, così particolare. Da non perdere.

 

 

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