Declino demografico e pandemia
Che le ironie di qualche buontempone sul fatto che l’essere costretti a casa durante il lockdown dei marzo-aprile 2020 si sarebbe tradotto in un aumento dei concepimenti – dato che le coppie avrebbero, idealmente, avuto più tempo da dedicare all’intimità – sarebbero appunto rimaste poco più che battute (e spesso per giunta di cattivo gusto), lo si era capito già da tempo; ma ora la conferma arriva anche da una ricerca dell’Irccs “Burlo Garofolo” di Trieste, secondo cui durante quel periodo i concepimenti sono diminuiti del 20% – con un conseguente calo delle nascite nove mesi dopo, che al Burlo sono passate a 247 dalle 308 dello stesso periodo dell’anno precedente. Seppur limitato all’andamento delle nascite in un solo ospedale e al solo periodo considerato, il dato è talmente impressionante (tanto più se si considera che, invece, le nascite complessive al Burlo sono in aumento dalle 1417 del 2019 alle 1474 del 2020), che la rivista europea di riferimento Acta Paediatrica dello svedese Karolinska Institutet, ha deciso di pubblicare lo studio.
Volendo fare un confronto storico, il calo di concepimenti è molto maggiore anche di quello che era stato documentato ai tempi della catastrofe di Chernobyl, in cui le nascite in Italia erano calate del 5-7% in funzione della paura delle possibili conseguenze della contaminazione radioattiva sulle gravidanze. Confortante è tuttavia osservare che nello stesso periodo non si è osservato un aumento delle nascite pretermine, dei parti cesarei né della necessità di ricoveri in terapia intensiva: ossia non c’è stato un impatto sugli esiti delle gravidanze sulla qualità delle cure, come il dirottamento di molte risorse ai reparti Covid poteva far temere. Si è osservato anche un calo delle interruzioni volontarie di gravidanza, sempre nell’ordine del 20% circa – in linea quindi con il calo dei concepimenti: pare dunque che la pandemia abbia inciso “a monte” sulla scelta di non avere figli, più che sull’entità e sulle motivazioni di non portare a termine una gravidanza già iniziata.
«Si tratta di un risultato purtroppo atteso – afferma Egidio Barbi, professore dell’Università di Trieste e direttore della Clinica Pediatrica del Burlo e coautore dello studio -, che aggrava il trend di denatalità del nostro Paese e che deve imporre un cambio di passo. Si tratta chiaramente di un fenomeno complesso e dalle molteplici cause, ma vi è una necessità urgente di politiche di supporto dedicate: a partire dalla realizzazione di asili nido accessibili per tutti, alla facilitazione al lavoro dei genitori con figli, alle politiche di riduzione dei costi indiretti e a un ulteriore incremento della offerta educativa». Gli autori principali dello studio, il dott. Giampaolo Maso e il dott. Francesco Risso, sottolineano come «tra le possibili cause di questo calo dei concepimenti ci possano essere la crisi economica, la preoccupazione per il futuro occupazionale, gli aspetti psicologici e sociali correlati alla pandemia e al lockdown».
Lo studio, pur avendo chiaramente i limiti legati a un’investigazione limitata a un solo centro, secondo Barbi «fotografa una realtà ben definita e vuole essere uno stimolo per ricerche più allargate e riflessioni urgenti, anche alla luce della persistente incertezza generata dal perdurare della pandemia e della crisi correlata. Parafrasando Shakespeare – conclude il direttore della Clinica Pediatrica del Burlo – questo è “l’inverno del nostro scontento” demografico: ma parlarne non basta, è ora di cercare rimedi».
Un’ulteriore conferma, se mai altre ne fossero servite, di come sia urgente affrontare questa questione nel nostro Paese; e di come il Covid abbia posto ancor più in luce le nostre fragilità anche in questo campo.