Debre Libanos, la storia rimossa
Il nostro Paese fatica a superare alcune rimozioni della sua storia. Non può sorprendere, perciò, che sia pressoché sconosciuto il massacro di Debre Libanos, un crimine di guerra perpetrato dal nostro esercito in Etiopia nel 1937 agli ordini del “viceré” generale Rodolfo Graziani. Dobbiamo allo storico Paolo Borruso la ricostruzione più recente e dettagliata della strage di un numero stimato tra 1.800 e 2.200 cristiani etiopici radunati nella cittadella santuario del monachesimo copto tra il 21 e 29 maggio di quell’anno per la festa di san Michele. Una strage pianificata come reazione all’attentato fallito contro Graziani avvenuto, ad Addis Abeba, il 19 febbraio di quell’anno.
La guerra di conquista dell’Etiopia si era conclusa formalmente nel maggio del 1936, con l’impiego di un numero straordinario di mezzi bellici, da parte delle truppe comandate dal generale Pietro Badoglio contro l’unica nazione africana ancora non sottomessa alla colonizzazione europea. Un impero dalla storia millenaria, segnato dal cristianesimo annunciato da san Frumenzio da Tiro (Libano) nel IV secolo d.C., e così strutturato, anche militarmente, da aver fermato il tentativo di espansione coloniale italiana nella battaglia di Adua del 1896.
Mussolini puntò sul riscatto di quella “sconfitta vergognosa” per organizzare una macchina propagandistica che contagiò anche le gerarchie ecclesiastiche, nonostante il diverso indirizzo di Pio XI. Una pagina oscura, riconosciuta dal presidente della Cei, Gualtiero Bassetti, che ha presentato, a inizio 2020, il libro di Borruso, ricco di dettagli su tale grave compromissione morale riscontrabile anche nella pubblicistica di formazione di quel periodo. Francesco Piva nel libro Uccidere senza odio (Franco Angeli, 2015) ha analizzato i testi formativi dal 1868 al 1943 della Gioventù cattolica italiana, sottolineando la progressiva identificazione tra regime e fede cattolica. Una strada spianata dopo la fine della breve esperienza del Partito popolare (1919-26) che sosteneva, invece, la “Società delle nazioni” fondata nel 1919 per instaurare, nei rapporti internazionali, «l’arbitrato, l’abolizione dei trattati segreti e della coscrizione obbligatoria, il disarmo universale».
L’inclusione dell’Etiopia in questa prima forma di Onu fu uno degli obiettivi raggiunto, nel 1923, da Tafarì Maconnèn, reggente dell’Impero etiopico dal 1916 e poi, dal 1930, incoronato Negus neghesti (re dei re, imperatore) con il nome di Hailé Selassié (“Potenza della Trinità”). Una figura complessa di autocrate “riformatore” in un Paese a impronta feudale, dove vigevano forme di schiavitù che intendeva abolire.
Il via libera, di fatto, di Francia e Inghilterra, alla guerra di aggressione fascista provocò sanzioni simboliche per l’Italia, sfruttate dal regime per rafforzare il consenso interno. A nulla valse la denuncia, in sede internazionale, delle armi chimiche (iprite), bandite dai trattati ma utilizzate massicciamente dall’esercito, mentre l’aviazione bombardò anche ospedali della Croce Rossa. Per annientare ogni resistenza del nemico, nel 1936, fu nominato viceré Graziani, noto per la violenta repressione della popolazione libica. Nel 1937, prima ancora della strage al monastero di Debre Libanos, il generale, scampato all’attentato di Addis Abeba, ordinò una vera e propria mattanza in quella città provocando almeno 4 mila morti. Ben 19 mila secondo la ricostruzione dell’inglese Ian Cambell. Ma dobbiamo all’opera dell’italiano Angelo Del Boca la conoscenza delle pagine rimosse della nostra storia.
Una lezione misconosciuta. Di recente, ad Affile, vicino Roma, è stato eretto un sacrario in onore di Rodolfo Graziani, morto nel 1955 senza essere mai stato processato per i suoi crimini di guerra, nonostante avesse concluso la sua carriera come ministro delle forze armate nel protettorato nazista della cosiddetta Repubblica sociale. Scontata una condanna di pochi mesi per collaborazionismo, l’ex generale diventò poi presidente “onorario” del Movimento sociale italiano.
Esiste un passato innominabile destinato a ripetersi se non si coltiva l’esercizio di una memoria consapevole. Partire da quell’eccidio di Debre Libanos rappresenta un primo passo per interrogarci sulle ragioni che condussero poi, 80 anni fa, gli italiani ad obbedire, nel 1940, al grido antico e crudele della Seconda guerra mondiale.