Debito estero e Paesi in default
Il debito estero dei Paesi poveri o comunque a rischio fallimento è uno dei temi più scottanti della politica economica internazionale contemporanea. La dice lunga il crescente interesse da parte della società civile, nella ricerca di soluzioni soddisfacenti, prima che sia troppo tardi. Per quanto la globalizzazione possa aver reso il mondo apparentemente più omogeneo, i processi che l’hanno contraddistinta non sono stati, in questi anni, privi di aporie. Sul piano strettamente economico, ad esempio, la globalizzazione si è sempre più caratterizzata per una diffusione disomogenea degli interessi, con risultati non certo univoci e coerenti rispetto alle attese. Basti pensare alla crisi della sovranità statale in molti Paesi o alle persistenti diseguaglianze sul piano economico in molte aree geografiche. Tali dinamiche costituiscono una chiave di lettura imprescindibile per cogliere tanto l’articolazione globale di questi fenomeni, ma soprattutto la loro diversa declinazione in riferimento alla vexata quaestio del debito. Con tutta evidenza, proprio quest’ultimo rappresenta un meccanismo incontrollato e perverso che condiziona negativamente il destino di tanta umanità dolente, in quelle che papa Francesco chiama le “periferie del mondo”. D’altronde è sempre più evidente che attualmente i governi in grado di onorare regolarmente le obbligazioni assunte alle scadenze pattuite nei confronti dei creditori internazionali siano una sparuta minoranza. Si tratta di un fenomeno – quello dell’insolvenza. – determinato, in gran parte, dalla struttura “usurocratica” dell’economia planetaria, legata alla speculazione finanziaria. Questa, nell’arco degli ultimi 20 anni, ha decisamente preso il sopravvento sull’economia reale, determinando la crescita del cosiddetto debito aggregato nei Paesi in via di sviluppo o comunque “a rischio”. Per non parlare del fatto che il crescente potere del “sistema bancario ombra” – sul quale circola un numero indicibile di prodotti tossici al di fuori dei controlli e delle regole bancarie vigenti – risulta essere, alla prova dei fatti, in flagrante violazione di tutti i diritti umani e del diritto internazionale. E cosa dire poi delle commodity (materie prime, fonti energetiche in primis) nei Paesi del Sud del mondo, il cui valore è fortemente condizionato dalla speculazione finanziaria, dalle fluttuazioni incontrollate dei mercati monetari e da regole del commercio internazionale sicuramente pregiudizievoli o addirittura inesistenti? Tutto questo, in pratica, è sintomatico di un sistema economico-finanziario senza regole, cioè all’insegna della cosiddetta deregulation.
Tenendo conto di questo scenario, è stata messa a punto una strategia d’intervento davvero ambiziosa da parte di un gruppo qualificato di giuristi ed esperti di economia italiani dell’Unità di ricerca Giorgio La Pira del Cnr, del Centro di studi giuridici latinoamericani dell’Università di Roma Tor Vergata e del Centro di ricerca Renato Baccari del Dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Bari. Essi hanno chiesto formalmente che, con il sostegno della Santa Sede e anche di governi dei Paesi coinvolti nella grave crisi economico-finanziaria mondiale, l’Assemblea generale dell’Onu giunga a formulare quanto prima una richiesta di parere alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja sui principi e sulle regole applicabili al debito internazionale, nonché al debito pubblico e privato, al fine della rimozione delle cause delle perduranti violazioni dei principi generali del diritto e dei diritti dell’uomo e dei popoli. Questo indirizzo è sempre più attuale ove si pensi alla necessità di rivedere su basi etiche il sistema della finanza globale a fronte di pericolose ideologie, che promuovono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria, negando così il diritto di controllo agli Stati pur incaricati di provvedere al bene comune.
Beninteso, non si pretende certo che il momento giuridico risulti risolutivo in toto delle complesse questioni connesse al debito, che dipendono innanzitutto dai rapporti di forza esistenti in seno alla comunità internazionale e dalle scelte che sarà in grado di adottare.
Sta di fatto che il pare positivo della Corte dell’Aja, una volta formulato, seppure non vincolante per gli Stati sovrani, rappresenterà certamente un “precedente” che non potrà essere ignorato, per affermare i diritti dei poveri.
Il prof. Raffaele Coppola, coordinatore dei giuristi che hanno chiesto l’intervento della Corte dell’Aja sulle regole applicabili al debito internazionale, si è detto molto fiducioso. Non solo per il fatto che l’iniziativa è condivisa dalla Santa Sede, ma anche perché non vi sarebbero difficoltà ad ottenere una maggioranza per votare la risoluzione di richiesta per un parere consultivo dell’Aja. Tale maggioranza, infatti, è stata già raggiunta con la risoluzione 69/319 del 10 settembre 2015 sui cosiddetti “fondi avvoltoio”. Lungi da ogni retorica, l’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio secondo l’antropologia cristiana, fa parte di una rete globale e, in questi frangenti di perdurante crisi a livello mondiale, occorre non dimenticare che essere cristiani, come dice papa Bergoglio, significa stare dalla parte dei poveri.