De Chirico a Ferrara

Esposizione dell’opera pittorica dell’artista che in questa affascinante città  visse fra il 1915 e il ’18, anni di guerra che egli non passò al fronte, ma di cui  ha respirato l’aria frantumata, la riduzione dell’uomo a immagine meccanica, a manichino privo di anima.
de chirico

Ferrara, nebbiosa e umida. Ferrara, afosa e stanca. Ferrara misteriosa con le strade lunghe, le piazze, le notti e il mare lontano e vicino al tempo stesso.

 

Terra naturalmente portata alla magia e all’astrazione, come i dipinti dei grandi  rinascimentali, Cosmè Tura,Ercole de’ Roberti e Dosso.Con l’arte e la Rocca Estense, le memorie di Lucrezia Borgia, e il Palazzo dei Diamanti.

E’ proprio in quest’ultimo che si espone l’opera di Giorgio de Chirico, venuto nella città fra il 1915 e il ’18, anni di guerra che egli non ha vissuto al fronte, ma di cui ha respirato l’aria frantumata, la riduzione dell’uomo a immagine meccanica, a manichino privo di anima.

 

Giorgio immagina interni “metafisici” – Le muse inquietanti, Il grande metafisico, Ettore e Andromaca, Il trovatore – in cui esseri un tempo umani e ora accecati dalla follia collettiva e ridotti a bambole stanno soli  o di fronte cercando parole, amore, pensieri. La rigidità del “manichino”, i colori freddi, la desolazione infinita della grandi piazze ferraresi che si chiudono in orizzonte lunari e cieli surreali sono un mondo angosciante ed angosciato.  L’uomo è sottoposto alla fatalità, al non-senso. Eppure, questo mondo perduto e impazzito dalla guerra, anela all’infinito. Appare allora un altro risvolto della poesia dechirichiana.

 

Le Muse sono tensioni alla poesia, il Trovatore all’arte che sfida il dolore, la classicità desiderio di immortalità, i colori acidi voglia di altre dimensioni.

 

Ma quegli spazi surreali, incontaminati, geometricamente perfetti dove Ferrara diventa metafora di una nuova armonia dicono una esigenza formidabile di spiritualità. Ferrara la nebbiosa e la calma diventa luce di una aurora nuova, in una notte che sta per finire. In definitiva, De Chirico supera l’inevitabile pessimismo del conflitto disumano e fa della città estense la metafora della speranza che non può e non vuole morire. Da non perdere.

 

Fino al 28 febbraio (catalogo Ferrara Arte)

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