De Caritate Ministranda
Ho avuto la fortuna di aver conosciuto e collaborato con mons. Giovanni Nervo, il fondatore di Caritas internationalis e primo presidente di Caritas italiana. Mons. Nervo da sempre auspica che i consigli pastorali mettano al primo punto dell’ordine del giorno l’attenzione ai poveri. Ed è sicuramente contento della pubblicazione del motu proprio "De Caritate Ministranda”, ultima fatica di Benedetto XVI ove descrive la carità come «espressione dell'intima natura della Chiesa». Il papa è certo che se anche un vescovo «parlasse le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avesse la carità, sarebbe come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna» per dirla con San Paolo.
Il documento auspica non solo una carità organizzata e pianificata, ma la sobrietà come stile di vita. Il monito: «Stipendi e spese di gestione, pur rispondendo alle esigenze della giustizia e ai necessari profili professionali, siano debitamente proporzionate», non lascia certo spazio ad interpretazioni ambivalenti. Il testo, inoltre, ribadisce che «il servizio della carità è una dimensione costitutiva della Chiesa ed è espressione irrinunciabile». Per evitare che in materia di carità i fedeli vengano «indetti in errore o in malintesi», il motu proprio sollecita i vescovi ad «impedire che attraverso le strutture parrocchiali o diocesane vengano pubblicizzate iniziative che, pur presentandosi con finalità di carità, proponessero scelte o metodi contrari all’insegnamento della Chiesa».
Il papa, in tempi di laica spending review (revisione della spesa), ricorda al vescovo che è «tenuto, se necessario, a rendere pubblico ai propri fedeli il fatto che l’attività di un organismo di carità non risponda più alle esigenze dell’insegnamento della Chiesa, proibendo l’uso del nome cattolico». «Il servizio della carità – sottolinea papa Benedetto nel “Proemio” – è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza». «All’esercizio della diakonia della carità – prosegue il Santo Padre – la Chiesa è chiamata anche a livello comunitario, dalle piccole comunità locali alle Chiese particolari, fino alla Chiesa universale»; per questo serve «un’organizzazione quale presupposto per un servizio comunitario ordinato», che abbia pure «espressioni istituzionali». Soprattutto in tempi di crisi, infatti, la generosa mobilitazione popolare può trovare forme e modi non consoni alla carità, ma che promuovono un caritatismo che non discerne il «realmente bisognoso» da «colui che non lo è», alimentando un assistenzialismo che non lo rende autonomo. Solo istituzioni con personale altamente qualificato sono in grado di rispondere correttamente ai bisogni dei più.
«Pertanto, nell’attività caritativa, le tante organizzazioni cattoliche non devono limitarsi a una mera raccolta o distribuzione di fondi, ma devono sempre avere una speciale attenzione per la persona che è nel bisogno e svolgere, altresì, una preziosa funzione pedagogica nella comunità cristiana, favorendo un’azione pedagogica nell’ambito dell’intera comunità per educare allo spirito di condivisione e di autentica carità».
Vi sono delle alte forme di carità che sono spesso nate all'ombra dei campanili e che agiscono alla radice della povertà per uno stile di vita diverso. Più sobrio. Esse prendono il nome di finanza etica, commercio equo e solidale, mercato del riuso, gruppo di acquisto solidale, turismo responsabile, responsabilità sociale d'impresa e microcooperazione internazionale. Esse mettono al primo punto dell'ordine del giorno l'attenzione ai poveri, come vuole mons. Nervo. Attenzione però. Anche in queste iniziative pur lodevoli si possono insidiare subdole forme di speculazione per cui il monito di Benedetto XVI a vigilare non valga solo per i vescovi ma per tutti coloro che sono impegnati affinché attraverso la carità vi sia un'opportunità.