Ddl Zan: «Serve corresponsabilità per un patto educativo»
Diamo subito uno sguardo a testo dell’art.7:
1. La Repubblica riconosce il giorno 17 maggio quale Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, al fine di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere, in attuazione dei princìpi di eguaglianza e di pari dignità sociale sanciti dalla Costituzione.
2. La Giornata di cui al comma 1 non determina riduzioni dell’orario di lavoro degli uffici pubblici né, qualora cada in un giorno feriale,costituisce giorno di vacanza o comporta la riduzione di orario per le scuole di ogni ordine e grado, ai sensi degli articoli 2 e 3 della legge 5 marzo 1977, n. 54.
3. In occasione della Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia sono organizzate cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile per la realizzazione delle finalità di cui al comma 1. Le scuole, nel rispetto del piano triennale dell’offerta formativa di cui al comma 16 dell’articolo 1 della legge 13 luglio 2015, n. 107, e del patto educativo di corresponsabilità, nonché le altre amministrazioni pubbliche provvedono alle attività di cui al precedente periodo compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
In grassetto ho evidenziato i passaggi chiave di questo articolo, proviamo a focalizzarli meglio. Anzitutto, perché la scelta del 17 maggio? Perché il 17 maggio del 1990, l’Organizzazione Mondiale della Sanità decise di cancellare l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali, definendola «una variante naturale del comportamento umano»; il 17 maggio del 2004, Louis-Georges Tin (curatore del Dictionnaire de l’homophobie), fu l’ideatore della prima giornata internazionale contro l’omofobia, giornata che venne istituita ufficialmente dall’Unione europea nel 2007, con l’invito a tutti gli Stati membri di predisporre un sistema di leggi atte a superare le discriminazioni e violenze e promuovere eventi internazionali di sensibilizzazione e prevenzione per contrastare l’omofobia, la bifobia e la transfobia.
Ma se già esisteva la giornata internazionale contro le discriminazioni sessuali o basate sull’identità di genere, per quale motivo lo Stato italiano dovrebbe introdurre una legge specifica per commemorare questa data? Forse per legittimare ufficialmente una cultura (ed una formazione) dell’identità di genere e, quindi, della ideologia gender? L’introduzione nelle scuole degli strumenti per la diffusione della conoscenza della legge contro l’omofobia, rischia di porsi in contrasto con il primo comma dell’art.30 della Costituzione («… E` dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli …»). E se gli stessi genitori di uno studente minorenne (proprio nell’interesse superiore di questo minore) dovessero chiedere alla scuola l’esonero da questi insegnamenti, alias, momenti di approfondimento, attorno alle tematiche correlate al gender? Rischierebbero di essere “etichettati” come genitori “omofobi”, con tutto ciò che ne conseguirebbe sotto il profilo di eventuali ipotesi di reato, ai sensi per gli effetti degli articoli del Ddl Zan eventualmente approvato? Detti genitori, addirittura, potrebbero essere sottoposti all’accertamento della loro capacità genitoriale, con l’eventuale applicazione di una sanzione penale.
L’art.2 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, prevede che lo Stato «nell’esercizio delle funzioni che assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di assicurare tale educazione e tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche»; ed ancora, l’art.26 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, prevede che ai genitori è universalmente riconosciuto «il diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli».
Visti i sopradetti (chiari e inequivocabili) principi europei e internazionali, insisto sull’importanza dell’art.30 della Costituzione che pone al centro il ruolo (ed il dovere) fondamentale dei genitori nei confronti dei figli (anche quelli nati al di fuori di un matrimonio), declinando questo ruolo pedagogico e sociale in tre verbi peculiari quanto impegnativi: mantenere, istruire ed educare i detti figli. L’art.7 comma 1 del Ddl Zan rischia di portare con sé dei contenuti normativi che si pongono in netto contrasto con i principi costituzionali, soprattutto in riferimento al ruolo educativo che i genitori hanno nei confronti dei figli.
Ma vi sono profili di incostituzionalità anche sul versante dell’autonomia didattica e della cosiddetta libera espressione culturale dei docenti e, più precisamente, in riferimento all’art.33 della Costituzione in base al quale «l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento»; sulla base del ddl Zan eventualmente approvato – come ben mette in luce Daniele Bianchini, «gli insegnanti dovrebbero astenersi dal manifestare opinioni contrarie all’ideologia gender e alla fluidità del genere, e sarebbero costretti a partecipare all’organizzazione delle iniziative volte a promuovere la Giornata contro l’omofobia, pur non condividendo i messaggi trasmessi agli studenti e senza poter esprimere un’opinione diversa» ( Daniele Bianchini, in Legge omofoba perché non va, a cura di Alfredo Mantovano, 2020, Cantagalli).
Lo stesso Bianchini, pone in risalto la correlazione che sussiste tra la libertà di insegnamento, il diritto all’istruzione e lo sviluppo democratico di una società civile: se l’insegnamento non fosse libero, nella scuola non vi sarebbero gli opportuni spazi necessari alla crescita e allo sviluppo del senso critico che sta alla base del percorso di maturazione di ogni singolo individuo.
Chiudo. Anche con l’art.7 Ddl Zan, il legislatore ha perso l’occasione per prendere sul serio quel «patto educativo di corresponsabilità» (solo) richiamato nella norma in questione; genitori, figli, studenti, docenti, educatori e Stato (tutti insieme), sono chiamati a farsi parte attiva (anche critica, se necessario, e pertanto responsabile) di questo percorso educativo all’insegna della condivisione di valori e di principi costituzionali che possano ampliare (anziché limitare) il rispetto per la dignità umana, senza alimentare ulteriori discriminazioni e violenze nella collettività, sul presupposto (ideologico) di una eventuale distinzione (non si comprende, peraltro, da chi ed in che modo) basata sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere.