Il ddl Zan e la libertà della Chiesa

La nota verbale, consegnata dalla Segreteria di Stato Vaticana alla "parte italiana". La criticità di alcuni punti giuridici e teologici nel ddl Zan.
ANSA/ VATICAN MEDIA

Una levata di scudi contro la «nota verbale», un atto scritto diplomatico, che la Segreteria di Stato ha consegnato alla “parte italiana” lo scorso 17 giugno. Fa riferimento al ddl Zan, il disegno di legge n. 2005, su «misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità». Il disegno di legge contro l’omotransfobia è già stato approvato il 4 novembre 2020 alla Camera dei Deputati ed ora è all’esame del Senato. La nota verbale non è firmata, alla fine si trova il timbro della Segreteria di Stato e mette in evidenza alcuni principi giuridici e teologici.

In particolare dove nel ddl Zan si criminalizzano le condotte discriminatorie per motivi «fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere» si inciderebbe sulle libertà previste del Concordato Stato-Chiesa. Si ricorda che il principio base è quello dell’art 7 della Costituzione italiana: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani», quindi non “libera Chiesa, in libero Stato”, ma “libera Chiesa e libero Stato”.

La Chiesa ha, insomma la libertà di poter esprimere le proprie opinioni, la propria dottrina senza limiti o con il timore di incorrere in sanzioni, libertà che nasce, è il secondo punto del testo, anche dal seguire gli insegnamenti della Bibbia. «Ci sono espressioni della Sacra Scrittura e delle tradizioni ecclesiastiche del magistero autentico del Papa e dei vescovi, che considerano la differenza sessuale, secondo una prospettiva antropologica che la Chiesa cattolica non ritiene disponibile perché derivata dalla stessa Rivelazione divina».

Libertà garantita proprio dalla Revisione del Concordato del 1984 dove nell’articolo 2, comma 1 si legge che «la Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale, nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica». All’articolo 2, comma 3, si afferma ancora che «è garantita ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero, con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».

La preoccupazione della Chiesa non è per l’approvazione della legge e la giusta protezione e assenza di discriminazioni che si vuole assicurare verso le persone con inclinazioni sessuali Lgbtq. La persona non è mai definita dai suoi orientamenti. La Chiesa esprime la necessità della libertà di educare, di formare, nelle parrocchie, nelle associazioni, nelle scuole secondo la sua dottrina. Mai si potrebbe nelle scuole cattoliche divulgare, per esempio, la teoria del gender, chiaramente contraria agli insegnamenti del magistero.

In una intervista rilasciata a Vatican News il costituzionalista Cesare Mirabelli evidenzia dei punti critici nel ddl Zan. «La norma – ha dichiarato – che è stata introdotta alla Camera, che vuol essere di garanzia del pluralismo delle idee e libertà delle scelte, è inadeguata, inappropriata, per qualche aspetto contraddittoria e, comunque, dovrebbe circoscrivere la fattispecie penale, essere la garanzia introdotta come limitazione della previsione penale nella stessa norma penale, non all’esterno di essa».

Si rischia, insomma, di dover passare per una strettoia molto sottile, dove il confine tra la libertà di pensiero, di convinzioni, basate su una diversa concezione antropologica, seppure non discriminatorie, è molto labile. Per cui si potrebbero sanzionare penalmente idee, parole, discorsi, lezioni, omelie anche se non fossero di odio, di violenza, di discriminazione.

È ormai storica l’espressione di papa Francesco quando disse, riferendosi alle persone omosessuali: «Chi sono io per giudicare?». L’accoglienza, la delicatezza, prevista anche dal Catechismo della Chiesa cattolica per ogni tipo di persona con diversi orientamenti sessuali è chiara. Non c’è discriminazione nella dottrina e sempre meno nei comportamenti, in tante parrocchie c’è la pastorale per Lgbtq, ma questo non vuol dire che il papa possa essere sanzionato perché, come ha detto più volte: «La famiglia è il sogno di Dio» e ha ribadito che il matrimonio è tra persone di sesso diverso. Ci saranno altre forme di unione o di matrimonio, valide per lo Stato, ma non per la Chiesa. Questo, per esempio, non vuol dire discriminare, solo affermare una dottrina che ha fondamenti teologici e antropologici.

Alla fin fine il problema è anche Costituzionale e riguarda tutti, non solo la Chiesa e una parte di cittadini. Carlo Cardia, ordinario all’Università Roma Tre di Diritto ecclesiastico intervistato da Avvenire ha specificato che «le obiezioni che si intravedono nella nota della Santa Sede rimandano alla libertà di espressione del pensiero. E questa non è solo una questione che investe i cattolici, ma tutti gli italiani, tutte le persone che abitano nel nostro Paese, tutte le organizzazioni e le associazioni di qualunque orientamento. Per questo dico che siamo di fronte a un richiamo molto puntuale e severo affinché il testo legislativo fin qui elaborato venga profondamente rivisto, per superare alcune criticità davvero importanti».

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